Il Sole 24 Ore, Marco Rogari. Scompare definitivamente dalla scena Quota 104. E, come era già abbastanza chiaro da giovedì, anche nel 2024 resterà “operativa” Quota 103. Ma con alcuni paletti: i lavoratori che matureranno il prossimo anno i requisiti richiesti (62 anni d’età e 41 di contribuzione), e decideranno di utilizzare questa via d’uscita, subiranno una “penalizzazione” sotto forma di ricalcolo dell’assegno con il metodo contributivo. Con tanto di tetto: il valore lordo mensile della pensione non potrà essere superiore a quattro volte il minimo Inps e si dovrà quindi in ogni caso fermare a circa 2.250 euro. Non solo: le “finestre” d’uscita (il momento in cui si consegue il diritto alla decorrenza del trattamento) si dilateranno a 7 mesi per i lavoratori privati e a nove mesi per i dipendenti pubblici. Se il testo finale della legge di bilancio confermerà i contenuti dell’ultima bozza in circolazione, il compromesso nella maggioranza sulla flessibilità in uscita, dopo il pressing della Lega per ottenere un ammorbidimento del capitolo previdenza, potrà essere considerato blindato.
A pagare, in parte, il conto di questi ritocchi è, a meno di ripensamenti dell’ultima ora, la fascia dei pensionati con assegni tra 4 e 5 volte il minimo (da circa 2.250 a quasi 2.800 euro lordi con l’indicizzazione). Che vedono tornare la percentuale di rivalutazione al livello attuale, 85%, anziché al 90%, come era stato annunciato subito dopo il varo della manovra da parte del Consiglio dei ministri ed era indicato nelle precedenti bozze. Confermato il taglio di 10 punti, dal 32 al 22%, per beneficiari di trattamenti pensionistici elevati, quelli superiori a 10 volte il minimo. Confermato anche il ripristino dal 2025, invece che da inizio 2027, dell’adeguamento automatico all’aspettativa di vita per il canale di pensionamento anticipato con 42 anni e 10 mesi di versamenti (41 anni e 10 mesi per le lavoratrici), a prescindere dall’età anagrafica. L’ultima versione della manovra lascia nel mirino dipendenti degli enti locali, maestri, ufficiali giudiziari e “sanitari” che hanno cominciato a lavorare tra il 1981 e il 1995 e che vedono ridursi il trattamento per effetto di livelli di adeguamento degli importi più bassi di quelli attuali soprattutto per quel che riguarda la quota retributiva. Ma non sono esclusi ritocchi migliorativi in extremis.
Come già ipotizzato da alcuni giorni, si addolcisce la stretta sulle uscite anticipate con 64 anni e 20 di contributi dei lavoratori interamente “contributivi” (quelli in ”attività” dal 1° gennaio 1996): la soglia obbligatoria dell’importo dell’assegno da raggiungere per accedere a questa ”via” sale da 2,5 a 3 volte l’assegno sociale (circa 503 euro), ma si riduce a 2,8 volte per le donne con un figlio e a 2,6 volte con per quelle con più figli. Anche in questo caso, come previsto, scatta un tetto per il periodo di anticipo: il trattamento non potrà superare, al lordo mensile, le cinque volte il minimo Inps (circa 2.515 euro). Nessuna ulteriore novità per il già previsto restyling di Opzione donna e di Ape sociale, agendo in entrambi i casi sulla soglia anagrafica. E non sono spuntate variazioni neppure sullo schema disegnato guardando ai lavoratori interamente “contributivi” per il riscatto dei periodi con “buchi” nella contribuzione.
Dall’Osservatorio Inps, intanto, emerge che nei primi nove mesi del 2023 l’Inps ha erogato 579.121 nuove pensioni, per un importo medio di 1.207 euro. Gli assegni di vecchiaia liquidati sono oltre 301mila, i trattamenti anticipati più di 215mila, quelli ai superstiti circa 247mila e le invalidità superano quota 52.650.