La chiave è tutta in tre parole: divieto di cumulo. Chi vorrà davvero andare in pensione con quota 100, se sa che non potrà anche lavorare per due anni o più, esclusi piccoli impieghi da non più di 5 mila euro lordi all’anno? Solo chi proprio non potrà farne a meno. E comunque molti meno del previsto, già scesi sulla carta: 350 mila (dai 400 mila annunciati da Salvini), tra cui 120 mila statali. Ecco perché il governo sprizza ottimismo. L’Europa e gli investitori internazionali – è il ragionamento – quando capiranno che la controriforma Fornero graffia meno del previsto, smetteranno di attaccare l’Italia. I tecnici hanno già fatto di conto. Su 6,7 miliardi stanziati nel 2019, ad esempio, potrebbero esserne usati solo 5.
Ecco dunque che il pacchetto pensioni si sgonfia. E con lui anche il deficit. Così almeno pensa chi lavora al dossier previdenziale, destinato alla legge di bilancio. Oppure a un disegno di legge collegato.
Ciò non toglie che i soldi avanzati possano essere recuperati nel 2020 e a seguire.
Ma i vasi comunicanti dell’eventuale fondo vengono considerati, dall’ala leghista del governo, solo in orizzontale.
Dalle pensioni sulle pensioni, insomma. Senza regali al reddito di cittadinanza. Se cioè nel 2019 quota 100 si rivelasse meno frizzante del previsto, l’anno dopo verrebbero meno alcuni paletti per aumentarne l’appetibilità. Togliendo o riducendo il divieto di cumulo.
O predisponendo più finestre delle attuali. Chi matura i requisiti già dal 2018 – almeno 62 anni e 38 di contributi – non può andare in pensione subito. Ma si ipotizza – tre mesi dopo (se dipendente privato), sei mesi dopo (se statale), a settembre (se personale scolastico), un anno dopo (se donna con l’opzione ad hoc, confermata per tre anni, a 58 anni con 35 di contributi, ma ricalcolo contributivo).
In questo senso la misura è “sperimentale”: molti vincoli il primo anno per calmierare la spesa pubblica, meno poi quando i conti migliorano (negli auspici). Di per sé quota 100 è invece strutturale. D’ora in poi si potrà sempre andare in pensione a 62 anni con 38 di contributi. E poi a 63+38, 64+38, 65+38, 66+38. Fino ad agganciare i due canali della Fornero. La pensione di vecchiaia, a 67 anni con almeno 20 di contributi, che verrà adeguata alla speranza di vita nel 2023. E la pensione anticipata per chi ha 42 anni e 10 mesi di contributi, a prescindere dall’età (un anno in meno per le donne). Requisito questo che viene congelato e non più adeguato alla speranza di vita: nel 2019 e anche dopo non salirà di 5 mesi come previsto.
Per le categorie fragili disoccupati, parenti disabili da assistere, lavori pesanti – viene rinnovata per un altro anno l’Ape sociale. Costa poco, nei calcoli dei tecnici appena 100 milioni (del miliardo e 800 milioni stanziato da Gentiloni ne sarebbe stato usato la metà).
Ma dà un’altra chance a chi ne ha bisogno, consentendo di prendere la pensione anche con 30 anni di contributi e 63 di età, coperta dallo Stato. I precoci continueranno ad uscire con 41 anni di contributi. Tutte le esigenze avranno una risposta.
Almeno così crede il governo.
Chi sono gli scontenti allora? Di sicuro i pensionati d’oro. I “trattamenti” sopra i 90 mila euro lordi all’anno – dunque anche più pensioni – saranno tagliati per 3-5 anni. Si studia come: sull’intero ammontare o per scaglioni. E di quanto: sul tavolo ci sono 5 aliquote dall’8 al 20%. Esclusi gli assegni tutti contributivi. Quelli misti (retributivi e contributivi) avranno un taglio meno severo.
Per recuperare 1 miliardo – come annunciato dal vicepremier Di Maio – il contributo di solidarietà dovrà durare almeno un quinquennio.
Altri scontenti: i sindacati. Si prevede, per chi è in distacco sindacale, che la sua pensione sia calcolata con un criterio peggiorativo rispetto a chi ha deciso di non fare il sindacalista e rimanere al suo posto, in azienda o al ministero. Ma così si scoraggia l’attività sindacale, si lamentano le sigle. Il governo risponde che la norma non sarà retroattiva. Il nodo è aperto.
Possibili infine più assunzioni all’Inps. Forse il doppio delle 700 già previste da un concorso. Per rafforzare l’organico in vista di tre sfide: reddito e pensione di cittadinanza, quota 100.
Repubblica