Nei corridoi degli uffici già lo chiamano il “derogone”: la sospensione triennale della Fornero (ma non la sua riscrittura) che a partire dal 2019 consentirà l’uscita anticipata dal lavoro, per quanto con molti ostacoli. Una retromarcia onorevole per i leghisti, che in pratica riuscirebbero ad abbassare la pressione degli aspiranti alla pensione e a realizzare un risparmio sulle spese che ammorbidirebbe Bruxelles.
La partita non è facile e ci sono ancora alcuni nodi aperti. Che cosa accadrà il prossimo anno? Il meccanismo dovrebbe funzionare sull’effetto scoraggiamento: quota 100, i celebri 62 anni più 38 di contributi, sarebbe garantita per tutti i 430 mila aventi diritto, cioè quelli che raggiungono i requisiti dal 1° gennaio del 2019. Ma una serie di paletti sarebbero inseriti per frenare la corsa. Il primo è implicito: siccome l’età nel 2019 sarà, secondo la Fornero che resta di fatto in vigore, di 67 anni, chi opta per l’uscita dal lavoro ha un mancato guadagno in termini di contributi del 21-22 per cento (non penalità, ma minore contribuzione). Frena? Non frena? Questo è il tema su cui si esercitano Inps e Ragioneria generale: la quota degli scoraggiati che va dal 30, più ottimista, al 10 sul quale sembra ferma la Ragioneria generale. Il tema è: chi va in pensione calcola il valore dell’assegno o arriva fino a considerare razionalmente il mancato guadagno dei prossimi cinque anni? Gli scettici e prudenti aggiungono: ma l’opzione che si manifesta una tantum non potrebbe invece incoraggiare chi vede la possibilità di andare in pensione “ora o mai più”?
Con questo pacchetto comunque la platea del 2019 — l’anno cruciale per Bruxelles — si restringerebbe: a 300 mila uscite per chi spera che l’effetto deterrenza sarà del 30 per cento, a 387 mila per chi conta su un scoraggiamento del solo 10 per cento.
Da considerare che ci sono altri due deterrenti. Uno sarebbe il divieto di cumulo, cioè il divieto di lavorare una volta raggiunta la pensione. Avrà effetto? Gli scettici dicono che molti non lo considereranno un ostacolo in quanto pronti a sparire nel “nero”. Terzo fattore di scoraggiamento, il differimento del Tfr degli statali: costituirebbe oltre che una penalità, perché chi va in pensione vuole riscuotere subito anche la liquidazione, anche un risparmio temporaneo per le casse dello Stato.
La mega deroga alla legge Fornero, grazie a finestre e deterrenza, con l’uscita una tantum per il 2019 consentirebbe di risparmiare sul fondo di 6,7 miliardi contenuto nella manovra circa 2 miliardi, e di scendere di conseguenza a 4,7 miliardi. La cifra naturalmente cambia, da come si calcola l’effetto deterrenza. Sufficienti o non sufficienti, giudicherà Bruxelles, ma comunque un passo in avanti.
Resta la questione della copertura triennale, cioè anche del 2020-2021, perché aumenteranno coloro che maturano il diritto e ci saranno molti che scivoleranno all’anno successivo per via delle finestre mobili trimestrali (semestrali per gli statali). Qui la carta sulla quale si sta lavorando è l’indicizzazione delle pensioni, cioè il loro adeguamento alla dinamica dell’inflazione. Dal prossimo anno, come stabilito nel memorandum del 2017 firmato da governo e sindacati, si dovrebbero ripristinare le vecchie la modalità di indicizzazione introdotte da Prodi. Invece rimarrà l’indicizzazione più sfavorevole della legge Fornero che rallenta l’aumento delle pensioni superiori a quattro volte il minimo (circa 1.500 euro netti).
Se si aggiunge poi la penalizzazione per le pensioni elevate i risparmi potrebbero essere di circa un miliardo.
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