Impatto penalizzante della progressiva introduzione del metodo contributivo. Più si riscontrano livelli di reddito elevati più la pensione finale espressa in percentuale dell’ultima retribuzione annua risulta essere contenuta.
La revisione dei coefficienti di conversione utilizzati dall’Inps per l’applicazione del metodo contributivo offre lo spunto per una riflessione sull’adeguatezza della copertura finale offerta dal sistema pensionistico pubblico e sul ruolo che il Tfr è sempre più destinato a svolgere.
Se si considerano infatti tre dipendenti tipo con un’età, al 1° gennaio 2012, di 40, 50 e 60 anni e si elaborano una serie di proiezioni delle prestazioni garantite dall’Inps in futuro, l’inadeguatezza di tali prestazioni risulta immediata. Dai risultati descritti nello schema pubblicato in questa pagina appare evidente come la copertura finale del sistema sia fortemente influenzata dall’anzianità contributiva maturata al 31 dicembre 1995 nonché dall’evoluzione retributiva dei dipendenti. L’anzianità contributiva infatti determina il metodo di calcolo che sarà applicato (misto Monti-Fornero per i lavoratori con almeno 18 anni di contribuzione, misto Dini per quelli con meno di 18 anni, contributivo puro per chi si è iscritto all’Inps per la prima volta dal 1° gennaio 1996). I tre dipendenti sono rappresentati, ciascuno dei tre metodi di calcolo (metodo misto Monti-Fornero per il dipendente con 60 anni di età, metodo misto Dini per il dipendente 50enne, metodo contributivo puro per il dipendente con 40 anni di età).
L’impatto penalizzante della progressiva introduzione del metodo contributivo applicato su quote sempre più consistenti di prestazioni appare evidente. A parità di ulteriori situazioni infatti (in particolare a parità di evoluzione retributiva) la copertura offerta al dipendente con 40 anni di età risulta essere mediamente più contenuta del 39% rispetto a quella che sarà ricevuta dal dipendente di 60 anni, ormai prossimo al pensionamento. La copertura finale è influenzata anche dall’evoluzione retributiva. In genere, più si riscontrano livelli di reddito elevati più la pensione finale espressa in percentuale dell’ultima retribuzione annua risulta essere contenuta.
Nelleproiezioni elaborate sono state ipotizzate tre possibili carriere, con una retribuzione finale pari a 30mila euro, 75mila euro o 150mila euro. Sempre a parità di ulteriori condizioni la prestazione ricevuta dal dipendente con la carriera più elevata (150mila euro) risulta essere mediamente più contenuta del 43% di quella percepita dal dipendente che giunge al pensionamento con una retribuzione di 30mila euro.
In generale, le proiezioni evidenziano, per quasi tutti i lavoratori una copertura finale non in linea con le presumibili, rispettive esigenze. Se si esclude infatti il dipendente 60enne con una retribuzione annua lorda finale di 30mila euro (e per il quale la pensione dovrebbe risultare all’incirca pari al 79% dell’ultima retribuzione), per tutti gli altri la copertura offerta dall’Inps varia dal 28% al 67% (livelli sicuramente non sufficienti per raggiungere anche dopo il pensionamento lo stesso tenore di vita mantenuto nel corso dell’attività lavorativa).
L’esigenza di una copertura previdenziale aggiuntiva appare quindi particolarmente sentita. In tale ottica il ruolo del Tfr risulta essere fondamentale. Ipotizzando infatti che i lavoratori considerati abbiano deciso (in linea con quanto stabilito dal Dlgs 252/2005) di destinare a un fondo pensione il Tfr maturato dal 1° gennaio 2007, non richiedano alcuna anticipazione nel corso dell’attività lavorativa e propendano al pensionamento per la conversione integrale della posizione maturata in una rendita vitalizia, l’incremento della copertura finale varia dal 6 all’11% (in alcuni casi neanche sufficiente a colmare interamente tutte le necessità pensionistiche).
ilsole24ore.com – 27 maggio 2012