Matteo Renzi ripete: sulle pensioni «spero che la flessibilità in uscita sia realizzabile già con questa legge di Stabilità». Lo scrive rispondendo a un lettore dell’ Unità cui assicura: «Il ministro Padoan è tra i più sensibili all’argomento». Poi spiega che bisogna «trovare il giusto equilibrio. Da un lato c’è un sistema pensionistico che non può costare come in passato. Dall’altro, persone che vorrebbero godere della pensione non troppo tardi, magari prendendo qualcosa in meno». Passano poche ore, e il ministro Pier Carlo Padoan- dalla festa di Scelta Civica di Salerno – spiega le difficoltà: «Il sistema pensionistico italiano è giudicato uno dei più stabili e sostenibili in Europa, il che serve a difendere i redditi delle generazioni future». Così, «si esploreranno eventuali misure che permettano uscite anticipate rispetto all’età predeterminata», ma «l’idea che la flessibilità sia a costo zero è inesatta».
Altra storia, quella degli esodati: «In sede di Stabilità si prenderà una decisione definitiva», dice il ministro: «Nessuno ha sottratto risorse ai pensionati, le risorse ci sono e saranno utilizzate». Da Assisi, interviene anche il presidente dell’Inps Tito Boeri, secondo cui «oggi ci sono le condizioni per fare l’ultima riforma del sistema delle pensioni» con un «patto generazionale più equo e sostenibile, che regga la sfida economica e quella demografica».
Sulle pensioni, Sel attacca con il capogruppo alla Camera Arturo Scotto: «Renzi e Padoan giocano al poliziotto buono e al poliziotto cattivo e lo fanno sulla pelle di chi lavora». Mentre il 5 stelle Luigi Di Maio dice: «Se parlano di flessibilità, significa che vogliono fregare i pensionati». Da Milano – dov’è intervenuto al congresso della Società Dante Alighieri – arriva il monito del presidente della Repubblica Sergio Mattarella: «Forse, l’autentico difetto nazionale è non essere riusciti a fare sistema, a giocare in squadra».
IL RETROSCENA. Servono due miliardi per fare la riforma
Roberto Petrini. E’ di nuovo caccia alle risorse. A poco più di due settimane dal varo della legge di Stabilità, la questione della fuoriuscita dalla legge Fornero crea frizioni nel governo e mette a dura prova i tecnici. Servono uno o due miliardi fin da subito e nonostante il bonus che si conta di spuntare a Bruxelles e l’aumento del deficit del prossimo anno dall’1,8 al 2,2 per cento del Pil, i margini sono stretti.
Renzi vuole risolvere il problema della legge varata da Monti alla fine del 2011, in piena crisi finanziaria, che ha creato una gabbia di gesso intorno al sistema pensionistico dando vita al problema degli esodati, innalzando l’età pensionabile oltre i 66 anni e chiudendo vie alternative d’uscita. La parola d’ordine ora è «flessibilita»: il premier dopo averla lanciata prima dell’estate, è tornato a ripeterla nei giorni scorsi e, di nuovo, ieri. Con «giusto equilibrio », ha detto aggiungendo che si può spendere qualcosa adesso se si potrà risparmiare in futuro. Il problema è proprio questo: i costi fin dal prossimo anno.
Sul piano tecnico si dice: consentiamo di anticipare la pensione di quattro anni, grosso modo da 66 a 62, con una penalizzazione che vale 3-4 per cento all’anno, in tutto il 12-15 per cento che potrebbe ridursi se la penalità fosse calcolata solo sulla parte retributiva della pensione. Comunque non è poco e non è possibile ipotizzare quanti (20 mila, 30 mila?) sarebbero disposti ad accettare per l’intera vita residua di percepire un assegno più basso per lasciare il lavoro in anticipo. Certamente lo farebbero coloro che già stanno nel limbo degli esodati, ormai senza lavoro e che, pur di raggiungere la pensione, devono essere disposti ad ogni sacrificio. Oppure selezionare in base ai cosiddetti lavori usuranti? Per questo motivo la leader della Cgil Susanna Camusso l’altro giorno ha ricordato a Padoan che un conto è passare la vita in un altoforno e un conto è stare di fronte ad una scrivania. Ma la selettività, seppure presenti costi minori, non piace a tutti: creerebbe disparità e malcontento.
Così tornano a galla altre ipotesi come quella avanzata dall’ex ministro del Lavoro e presidente dell’Istat Enrico Giovannini: un prestito pensionistico, ovvero la possibilità di anticipare di 2-3 anni la pensione prendendo a prestito dai trattamenti futuri. Si potrebbe contare su un assegno di 7-800 euro al mese per tirare avanti e poi, raggiunta l’età pensionabile, restituire a rate quanto si è avuto in anticipo.
Quello che è certo è che la legge di Stabilità, ancora prima di nascere, corre il rischio di avere la coperta corta. La flessibilità chiesta a Bruxelles per riforme- investimenti e, forse, migranti, vale un punto di Pil, intorno ai 16-17 miliardi. Ma non è ancora tutta da “negoziare”: la stabilità del sistema previdenziale è un vanto per l’Italia, fin dalle riforme degli Anni Novanta, e incrinare anche questo pilastro potrebbe maldisporre la Commissione europea. Più il falco Valdis Dombrovskis che il più mobido Pierre Moscovici.
Sul tavolo del resto ci sono altre scelte da fare che hanno di fronte un percorso in salita. A cominciare dall’abolizione della Tasi, la tassa sulla prima casa, cavallo di battaglia di Renzi. Su questo punto la squadra di governo è compatta e persino Padoan ieri ha difeso l’elimiazione. C’è da dire che le due questioni- chiave, pensioni e tassa sulla casa, si collocano in un quadro di trotterellante ripresa del paese ma pur sempre incerto. Il governo scommette su una crescita dell’1,6 il prossimo anno, in rialzo di due decimali rispetto alle precedenti stime di aprile, ma il contensto internazionale, dalla Russia, alla Cina e da ultimo lo scandalo Volkswagen con le sue ripercussioni sulla nostra componentistica, lasciano sempre un margine di incertezza.
La parola magica della spending review che dovrebbe fornire munizioni alle operazioni di riduzione delle tasse e di alleggerimento della stretta pensionistica, negli ultimi giorni sembra appannata. Lo stesso Def non ha confermato i 10 miliardi e oggi si conta al massimo di ricavarne 6-7 con interventi sulla spesa dei ministeri, i riflessi della riforma della pubblica amministrazione. Sembra restringersi, fino ad annullarsi, la riduzione delle tax expenditures cioè il taglio delle detrazioni e deduzioni: se passasse per gli sconti più diffusi tra le famiglie (mutui, assicurazioni ecc.) sarebbe percepita come un ulteriore innalzamento della pressione fiscale, anche se in chiave indiretta. Ciò che Renzi non vuole come ha dimostrato l’accantonamento della riforma del catasto nell’ambito della delega in materia tributaria. Andare all’assalto di lobby e nicchie di privilegio fiscale e detrazioni speciali costerebbe una battaglia campale. Resterebbe la sanità, ma il taglio delle prestazioni avviato dal decreto Lorenzin dei giorni scorsi sta già scatenando molto malcontento.
Repubblica – 27 settembre 2015