Con l’introduzione di Quota 103 chi lo volesse e ha maturato 62 anni di età e 41 anni di contributi versati può accedere alla pensione. Ma con un limite di 2.625 euro per l’assegno mensile, almeno fino al raggiungimento del 67° anno di età, mentre per chi decide di restare al lavoro ci sarà un bonus. Confermate le finestre mobili di tre mesi per i lavoratori privati e sei mesi per i pubblici ma con sette mesi per i pubblici che hanno raggiunto i requisiti a fine dicembre 2022. Cambiano le fasce per l’indicizzazione: solo del 35% oltre i 5.250 euro. Minime: spunta la super rivalutazione del 120% per due anni
Tutti i lavoratori con 62 anni d’età e 41 anni di contribuzione potranno accedere alla nuova Quota 103, ma l’assegno non potrà superare i 2.600 euro al mese, o poco più, almeno fino al raggiungimento dei 67 anni. Comincia ad essere chiara la fisionomia del nuovo canale di uscita anticipata che dal prossimo 1° gennaio sostituirà Quota 102. E che, a meno di ripensamenti nel testo finale della manovra attesa nel fine settimana in Parlamento, dovrebbe essere agganciata, come nel caso di Quota 100, a finestre mobili di tre mesi per i lavoratori privati, con uscite quindi da aprile, e di sei mesi per i dipendenti pubblici, con pensionamento da agosto. Che diventano sette mesi nel caso degli “statali” che abbiano maturato i requisiti richiesti alla fine di dicembre di quest’anno. Nel pacchetto previdenza che fa parte del disegno di legge di bilancio è stato ripescato in extremis, dopo che l’esecutivo sembrava averci rinunciato, l’incentivo per favorire, una volta maturati i requisiti, il rinvio del pensionamento con una decontribuzione del 10% riversata direttamente nelle buste paga, sulla falsariga del bonus introdotto da Roberto Maroni, scomparso ieri all’età di 67 anni, quando era ministro del Welfare.
Confermata la revisione per il 2023 del meccanismo di indicizzazione degli assegni al caro vita: con la rivalutazione che sarà del 120% per le pensioni minime probabilmente non per un solo anno ma per due, del 100% per quelle fino a 4 volte il minimo (circa 2.100 euro) e che gradualmente diventerà più bassa rispetto allo schema attuale scendendo fino al 35% per i trattamenti superiori a 10 volte il minimo (circa 5.250 euro). Anche se fino a ieri sera la nuova “scalettatura” non appariva ancora chiara. Con l’annunciato restyling di Opzione donna i requisiti per l’uscita anticipata con il ricalcolo contributivo dell’assegno saranno identici, a differenza di quanto accade oggi, per le lavoratrici dipendenti e per quelle autonome.
Ieri il ministro del Lavoro, Marina Calderone, ha confermato che quella di Quota 41 vincolata alla soglia anagrafica di 62 anni (di fatto Quota 103) è una soluzione ponte. «La scelta di rendere le misure sulle pensioni transitorie per il 2023 va vista nell’ottica di una riforma strutturale che nel 2023 deve essere studiata, varata e ragionata», ha detto il ministro ribadendo la volontà di avviare dal 2024 il processo per giungere al superamento della legge Fornero. La platea potenziale interessata a Quota 103 sarebbe formata da 48mila lavoratori per un costo di 510 milioni il primo anno (1,5 miliardi nel 2024 e 498 milioni nel 2025). Un impatto non troppo invasivo sui conti pubblici, anche perché sull’importo del trattamento con la nuova uscita anticipata, fortemente voluta dalla Lega che l’ha congegnata con il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, il Governo ha fissato un preciso paletto: l’assegno non potrà in ogni caso superare le 5 volte il minimo (2.625 euro), almeno fino al raggiungimento del sessantasettesimo anno d’età.
Tiepida la reazione dei sindacati. Con il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, che non esprime un giudizio negativo, mentre Domenico Proietti (Uil) definisce Quota 103 «un ambo secco che non dà una risposta adeguata a tutti i lavoratori precoci». A manifestare grande preoccupazione per il nuovo meccanismo di indicizzazione in arrivo è lo Spi-Cgil, che parla di una perdita media pro-capite di oltre 1.200 euro l’anno per 4,3 milioni di pensionati. I tecnici del governo sono stati al lavoro per tutta la giornata di ieri per calibrare le nuove fasce e per valutare la possibilità di garantire per due anni e non per il solo 2023 la super-rivalutazione del 120% alle pensioni minime, che assicurerà assegni di almeno 570 euro mensili. Tra i vari schemi sul tavolo degli esperti dell’esecutivo anche quello che mantiene la perequazione al 100% per le pensioni fino a quattro volte il minimo (fino a 2.100 euro), con una riduzione dal 90 al 70% per quelle tra quattro e cinque volte il minimo e al 50% per quelle da cinque a dieci volte il minimo. Oltre questa soglia, l’indicizzazione sarà limitata al 35 per cento.
Più di una perplessità la uscita il nuovo sistema di uscita con Opzione donna, che insieme all’Ape sociale è stata prolungata a tutto il 2023 ma in una versione rivista. Attualmente le lavoratrici possono accedere alla pensione, con il ricalcolo contributivo dell’assegno, a 58 anni (59 se ”autonome”) e 35 di contribuzione. Il dispositivo introdotto dal governo mantiene Opzione donna così com’è per chi si trova, come nel caso dell’Ape sociale, in situazione di particolare difficoltà (caregiver o persone con invalidità), ma lascia invariato il requisito anagrafico dei 58 anni solo per le lavoratrici madri con due o più figli. La soglia anagrafica sale a 59 anni con un figlio solo e a 60 anni per chi non ha figli. Una sorta di quoziente previdenziale che non sembrerebbe coniugarsi facilmente con il vincolo del ricalcolo contributivo del trattamento. «Noi vogliamo Opzione donna, non Opzione mamma», ha detto l’ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano, criticando la misura.
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