Quattro finestre in un anno per l’uscita con quota 100, proroga dell’opzione donna, tagli alla rivalutazione delle pensioni che partiranno da quelle di almeno 2.500 euro netti al mese per poi colpire in modo più deciso gli assegni elevati, al di sopra dei 4.500 euro mensili. Il capitolo pensioni della legge di Bilancio inizia a delinearsi, anche se le norme dettagliate in realtà devono essere ancora scritte; e in campo previdenziale – come dimostrano anche le esperienze passate – i dettagli possono essere decisivi.
I REQUISITI
Dal 2019 dunque sarà possibile lasciare il lavoro con 62 anni di età e 38 di contributi. Strettamente parlando non si tratta di una quota, perché entrambi i requisiti devono essere soddisfatti e dunque, ad esempio, chi ha 38 anni di contributi ma non i 62 di età dovrà attendere comunque di compierli. E viceversa. Questo schema penalizza (o meglio non agevola) i lavoratori precoci, che avendo iniziato a versare contributi magari anche a 16 anni ed avendo poi lavorato ininterrottamente si trovano ad averne accumulati 38 anche molto prima del sessantesimo compleanno: quindi non potranno sfruttare la novità appena introdotta e dovranno aspettare la pensione anticipata classica con circa 43 anni di contributi.
Una volta maturati i requisiti, occorrerà aspettare che si apra una delle quattro finestre: presumibilmente si tornerà al sistema in vigore fino al 2008, con il quale ad esempio se la finestra è ad aprile chi raggiunge il traguardo a febbraio attenderà due mesi, chi è nato a marzo uno e così via. Un’altra novità che è già inclusa nel contratto di governo riguarda la cosiddetta opzione donna ovvero la possibilità per le lavoratrici di accedere alla pensione anche prima dei 60 anni, con 35 di contributi, ma con l’assegno calcolato in base al meno favorevole sistema contributivo. Questo canale si era esaurito nel 2016, ora verrà prorogato: stando al comunicato di Palazzo Chigi, la soglia di età sarà fissata a 58 anni per le dipendenti e a 59 per le autonome, anche se si valuta lo slittamento ai 60 anni.
L’ASPETTATIVA DI VITA
Un altro aspetto su cui ancora si stanno facendo analisi è l’adeguamento dei requisiti in base all’aspettativa di vita. Il governo è orientato a cancellare l’automatismo per quanto riguarda il requisito della pensione anticipata, che quindi in questa ipotesi resterebbe fissato a 42 anni e 10 mesi senza lo scatto di cinque mesi previsto per il 2019. Molto più difficile che possa essere preso in considerazione il blocco dell’aspettativa di vita per la vecchiaia.
Infine, le pensioni di importo elevato. Lo schema di taglio di questi trattamenti messo a punto dal Movimento Cinque Stelle resta per ora all’interno del disegno di legge che in estate era stato presentato alla Camera. Non è chiaro se potrà essere trasferito nella manovra. Nella legge di bilancio invece entrerà sicuramente il cosiddetto raffreddamento del meccanismo di indicizzazione degli assegni alti. Dal 2019 la rivalutazione doveva tornare ad essere quasi piena, dopo gli interventi dei governi Monti e Letta. Invece verrà applicata una nuova decurtazione, con l’obiettivo di risparmiare almeno 300 milioni l’anno. Per conseguire il risultato però non sarà sufficiente toccare solo le pensioni dai 4.500 euro netti al mese in su e dunque il raffreddamento inizierà un po’ più in basso, intorno ai 2.500 euro, pur se con un effetto inizialmente limitato.
Nel documento di bilancio consegnato dal governo alla Commissione europea, c’è più di una sorpresa. La prima, e probabilmente la più rilevante, è che nonostante l’introduzione della flat tax per le partite Iva e il taglio dell’Ires, la pressione fiscale non diminuirà. Resterà inchiodata al 41,8%. Effetto della cancellazione di 2 miliardi di sconti alle stesse imprese (Ace e Iri) e della stretta (4 miliardi) su banche e assicurazioni. Sulla flat tax, poi, c’è la conferma che nel 2019 la soglia di reddito per pagare la tassa piatta al 15% sarà di 65 mila euro, anche se il sottosegretario Massimo Bitonci ha assicurato che nel 2020 il tetto salirà a 100 mila.
IL MESSAGGERO