di Nevea Lorenzato. La legge 23 dicembre 2014 n. 190 (Stabilità 2015) non ha apportato modifiche significative in materia pensionistica. Fatta eccezione per l’eliminazione delle penalizzazioni fino al 2017 per chi accede alla pensione con meno di 62 anni e per il tetto alle pensioni d’oro, ancora una volta sono stati rinviati i tanto attesi e promessi interventi in tema di pensioni anticipate, esodati, quota 96 e proroga opzione donna. Sono stati invece confermati gli aumenti della tassazione sui rendimenti dei fondi pensione e sulla quota di rivalutazione del Tfr. Una panoramica sulle principali novità previste non solo dalla legge 190, ma anche da altre fonti, vuole fornire un quadro complessivo su quanto il 2015 per ora riserva ai pubblici dipendenti. Ma nella legge di stabilità non si scorge nulla di quella che era la riforma delle pensioni recentemente annunciata; ancora una volta ogni possibile intervento è stato rimandato ad eventuali provvedimenti futuri
Eliminazione penalizzazioni per pensionati con meno di 62 anni
Dal 1° gennaio 2015 le pensioni anticipate dei dipendenti che accedono alla pensione con un’età inferiore ad anni 62 non saranno soggette ad alcuna penalizzazione. Lo prevede il comma 113 dell’articolo 1 della legge di stabilità in vigore dal 1° gennaio 2015; la norma vale limitatamente per coloro che maturano i previsti requisiti di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017. Questo intervento è stato bocciato in extremis in sede di conversione del Dl n. 90/2014 ma, a distanza di pochi mesi è andato a buon fine. È risaputo quanto l’introduzione delle penalizzazioni sulle pensioni abbia comportato non pochi problemi sia per gli interessati che per gli enti datori di lavoro e per lo stesso ente previdenziale.
Il tutto nasce con la previsione dell’articolo 24, comma 10, del Dl n. 201/2011, che così dispone: “Sulla quota di trattamento relativa alle anzianità contributive maturate antecedentemente il 1° gennaio 2012, è applicata una riduzione percentuale pari ad 1 punto percentuale per ogni anno di anticipo nell’accesso al pensionamento rispetto all’età di 62 anni; tale percentuale annua è elevata a 2 punti percentuali per ogni anno ulteriore di anticipo rispetto a due anni. Nel caso in cui l’età al pensionamento non sia intera la riduzione percentuale è proporzionale al numero di mesi”.
Successivamente interviene il Dl 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, che, all’articolo 6, comma 2-quater, prevede che la penalizzazione non si applichi se l’anzianità contributiva prevista per l’accesso alla pensione anticipata deriva esclusivamente da prestazione effettiva di lavoro. La norma indica le assenze considerate a tutti gli effetti attività lavorativa, permettendo di individuare, per esclusione, quelle penalizzanti: periodi di astensione obbligatoria per maternità, per l’assolvimento degli obblighi di leva, per infortunio, per malattia e per cassa integrazione guadagni ordinaria.
Segue la legge di conversione del Dl n. 101 del 31 agosto 2013, n. 125, in vigore dal 31 ottobre 2013, che modifica, con l’introduzione dell’articolo 4-bis, l’articolo 6, comma 2-quater, del Dl n. 216/2011, convertito dalla legge n. 14/2012, aggiungendo all’elenco delle assenze riconosciute come prestazione effettiva di lavoro quelle fruite per la donazione di sangue e di emocomponenti e quelle inerenti i congedi parentali di maternità e paternità previsti dal testo unico di cui al Dlgs n. 151/2001.
Da ultimo, la legge di stabilità 2014, n. 147 del 27 dicembre 2013, al comma 493 aggiunge all’elenco delle assenze non penalizzanti i congedi ed i permessi concessi ai sensi dell’articolo 33 della legge n. 104/1992.
In data 11 giugno 2014 l’Inps, con messaggio n. 5280, oltre ad indicare le rispettive decorrenze per l’applicazione dei nuovi interventi, ribadisce la tassatività dell’elenco contenuto nel testo riformulato del citato articolo 6, comma 2- quater. Articolo che, con la legge di stabilità 2015, è nuovamente modificato con la sostituzione del secondo periodo, che prevede la disapplicazione delle penalizzazioni sul trattamento pensionistico per chi matura i previsti requisiti di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017.
Rimane invece in vigore la previsione dell’applicazione delle penalizzazioni per chi accede al pensionamento con età inferiore ad anni 62 a partire dal 1° gennaio 2018. Una sorta di tregua faticosamente conquistata, che soddisferà solo una parte degli interessati, vale a dire chi può andare in pensione dal 1° gennaio 2015 fino al 31 dicembre 2017.
È improbabile che la norma abbia effetto retroattivo per chi percepisce già la pensione decurtata, non solo perché non è espressamente previsto nel testo di legge, ma anche per il fatto che detta tutela è mancata anche nelle precedenti modifiche di legge sopra elencate. Come già premesso il citato messaggio dell’Inps n. 5280/2014 ha evidenziato le singole decorrenze degli interventi che si sono susseguiti in materia, non lasciando intravedere alcuna salvaguardia per chi è già in pensione e percepisce un assegno pensionistico ridotto.
Tetto alle pensioni d’oro
La legge di stabilità 2015, al comma 707 dell’articolo unico, riformula il comma 2 dell’articolo 24 del Dl n. 201/2011, aggiungendo un ulteriore periodo al comma 1 che prevede l’introduzione, a decorrere dalle anzianità contributive maturate dal 1° gennaio 2012, del calcolo della pensione con il sistema contributivo per tutti i dipendenti. È emerso che in molti casi il calcolo del trattamento pensionistico ha generato importi della pensione superiori a quelli che sarebbero risultati con il calcolo secondo il vecchio sistema retributivo.
Per questo, al comma 2 dell’articolo 24 del Dl n. 201/2011 è stato aggiunto il seguente periodo: “In ogni caso, l’importo complessivo del trattamento pensionistico non può eccedere quello che sarebbe stato liquidato con l’applicazione delle regole di calcolo vigenti prima della data di entrata in vigore del presente decreto computando, ai fini della determinazione della misura del trattamento, l’anzianità contributiva necessaria per il conseguimento del diritto alla prestazione, integrata da quella eventualmente maturata fra la data di conseguimento del diritto e la data di decorrenza del primo periodo utile per la corresponsione della prestazione stessa”.
In realtà il limite introdotto non riguarda le pensioni più alte in quanto tali, come si potrebbe intuire dalla denominazione attribuita, bensì quei trattamenti che risultano superiori rispetto al calcolo determinato con le vecchie regole. Ma come può accadere questo se è risaputo che il sistema contributivo è significativamente penalizzante rispetto a quello retributivo e per questo è stato esteso a tutti?
Una prima ragione può derivare dall’eliminazione dell’anzianità massima contributiva prevista prima della riforma Fornero, quando il lavoratore che rimaneva in servizio dopo aver maturato 40 anni di contribuzione, pur a fronte dell’obbligo di versamento dei contributi pensionistici, era consapevole che la sua pensione non avrebbe subito alcun incremento oltre detto limite. Con l’eliminazione del limite massimo contributivo la permanenza in servizio anche oltre i 40 anni di contribuzione alimenta l’importo della pensione.
Altra causa del fenomeno può risiedere nella struttura della retribuzione; con il sistema retributivo le voci fondamentali dello stipendio hanno un peso maggiore rispetto a quelle accessorie, anche se i contributi sono stati versati nella stessa misura. In presenza di retribuzioni con componente accessoria rilevante il sistema contributivo premia, perché le voci retributive, fondamentali o accessorie che siano, generano gli stessi effetti in sede di calcolo del trattamento pensionistico. Si è così verificato in alcuni casi che il tasso di sostituzione tra stipendio e pensione è cresciuto contro ogni previsione. Da qui nasce l’intervento nella legge di stabilità che, al comma 708, dispone che il limite previsto al comma 707 si applichi anche ai trattamenti pensionistici già liquidati, con effetto dal 1° gennaio 2015, data di entrata in vigore della legge stessa. Sempre lo stesso comma conferma il termine di 24 mesi per la liquidazione dei trattamenti di fine servizio per chi accede al pensionamento prima di aver raggiunto il previsto limite di età, salvo le eccezioni previste in caso di morte e inabilità.
Aumento tassazione su rendimenti fondi pensione e rivalutazione del Tfr
Altre modifiche, temute ma confermate, riguardano l’aumento dell’aliquota fiscale sui rendimenti dei fondi pensione che passa dall’11,5 al 20% e sulla rivalutazione del Tfr, che passa dall’11 al 17%; lo si legge all’articolo 1, commi 621 e 623, della legge 190. Per detti interventi, unitamente all’introduzione della possibilità per i lavoratori del settore privato di chiedere il Tfr in busta paga, sembrava quasi certo l’apporto di correttivi migliorativi, considerate le ricadute negative che gli stessi produrranno sul fronte della previdenza complementare.
Il Governo è intervenuto solo sulla tassazione dei rendimenti dei Fondi pensione non riducendo l’aliquota del 20% come ci si attendeva, ma introducendo la possibilità di fruizione di un credito d’imposta del 9% a condizione che un ammontare corrispondente al risultato netto maturato assoggettato all’imposta sostitutiva prevista dall’articolo 17 del Dlgs n. 252/2005, sia investito in attività di carattere finanziario a medio o lungo termine, individuate con apposito decreto del ministro dell’Economia e delle finanze.
Nel frattempo l’imposta del 20% sul risultato netto dei Fondi pensione dovrà essere applicata anche sui rendimenti dell’anno 2014. Per quanto riguarda invece i redditi derivanti dalle rivalutazioni del trattamento di fine rapporto la nuova aliquota fiscale del 17 % è applicata a decorrere dal 1° gennaio 2015.
Tutto questo accade mentre più che mai si rende necessario costruirsi per tempo una previdenza complementare, dato che la pensione pubblica tende progressivamente a diminuire.
Ulteriori novità: opzione donna e speranza di vita
Il 3 dicembre 2014 l’Inps ha pubblicato una news di aggiornamento per quanto riguarda le lavoratrici che vogliono fruire dell’“opzione donna”. Nel ricordare che il termine per presentare la domanda di pensione è quello previsto dalle disposizioni vigenti nelle singole gestioni, l’Istituto comunica l’avvenuta richiesta di un parere al ministero del Lavoro per definire se la data del 31 dicembre 2015 debba essere intesa come termine per maturare i requisiti oppure per la decorrenza della pensione. In attesa di risposta, le domande di pensione presentate dalle lavoratrici che maturano i requisiti entro il 31 dicembre 2015, con conseguente finestra di accesso in data successiva, restano in sospeso, mentre le dipendenti che hanno già superato i requisiti previsti possono optare entro il termine del 31 dicembre 2015.
L’opzione donna è stata introdotta, in via sperimentale, fino al 31 dicembre 2015, con la legge n. 243/2004, che, all’articolo 1, comma 9, ha previsto il diritto di accesso alla pensione con almeno 35 anni di contributi e 57 di età per le dipendenti che optano per il trattamento pensionistico calcolato interamente con il metodo contributivo. La stessa norma ha previsto che entro il 31 dicembre 2015 il Governo avrebbe verificato i risultati della sperimentazione, al fine di una sua eventuale prosecuzione. Il Dl n. 201/2011ha confermato detta possibilità di pensionamento, prevedendo all’articolo 24, comma 14, che le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 9, della legge 243/2004 continuano ad applicarsi. L’opzione donna è quindi rimasta in vigore secondo quanto indicato dalla norma che l’ha introdotta e quindi è rimasta esercitabile fino al 31 dicembre 2015.
Con la circolare n. 37 del 14 marzo 2012 l’Inps è intervenuto precisando che la finestra mobile continua a trovare applicazione anche per le lavoratrici che accedono al pensionamento in virtù di quanto disposto dall’articolo 1, comma 9, della legge n. 243/2004, evidenziando che il requisito anagrafico deve essere adeguato, a partire dal 1° gennaio 2013, agli incrementi della speranza di vita. Finora nulla può essere contestato, ma ha sorpreso la conclusione della circolare laddove si legge che la disposizione prevista in via sperimentale vale solo per le pensioni decorrenti entro il 31 dicembre 2015. Questa linea ha precluso la possibilità di opzione per le dipendenti che maturano i requisiti previsti entro il 2015, ma non possono ricevere la pensione entro il 31 dicembre dello stesso anno per effetto dell’adeguamento all’incremento della speranza di vita pari a 3 mesi e dell’applicazione della finestra mobile pari ad un anno.
Ora si attende il parere del ministero del Lavoro auspicando un’interpretazione favorevole per le dipendenti interessate all’opzione.
Altra novità sorprendente è sapere che viviamo sempre più a lungo e dal 1° gennaio 2016 si dovrà lavorare ulteriori 4 mesi prima di poter andare in pensione, per effetto dell’adeguamento della speranza di vita; dai 66 anni e 3 mesi necessari per il raggiungimento del limite di età per la quasi totalità dei dipendenti pubblici si passerà a 66 anni e 7 mesi. La previsione è contenuta nel Dm Economia e finanze del 16 dicembre 2014. Lo stesso vale per la possibilità di accesso alla pensione anticipata: dal 2016 le donne dovranno aver maturato 41 anni e 10 mesi di contribuzione, mentre gli uomini 42 anni e 10 mesi.
La sorpresa non risiede nella rideterminazione della speranza di vita, che notoriamente era già programmata per il 2016, ma dal significativo incremento che di questo passo porterà a lavorare sempre più a lungo. Se in tre anni, dal 2013 al 2016, l’aspettativa di vita è salita di 7 mesi ed i prossimi aggiornamenti avranno cadenza biennale, è ragionevole supporre che a breve sarà raggiunto, se non superato, il limite di età di 67 anni. Ma allora sorge spontaneo chiedersi perché siano stati aboliti i trattenimenti in servizio per un biennio oltre il limite di età che, per chi ha maturato i requisiti pensionistici prima della riforma Fornero è pari a 65 anni.
Gli interventi in sospeso
Come accennato in apertura, nella legge di stabilità non si scorge nulla di quella che era la riforma delle pensioni recentemente annunciata; ancora una volta ogni possibile intervento è stato rimandato ad eventuali provvedimenti futuri.
Una sintesi dei problemi irrisolti può essere così sintetizzata:
– nuove forme di pensione anticipata: molte sono le proposte in campo: dall’estensione della possibilità di pensionamento a 64 anni già possibile per i lavoratori del settore privato ai sensi dell’articolo 24, comma 15-bis, del Dl n. 201/2011, all’introduzione della quota 100, vale a dire somma anni di età e anni contributivi pari a 100, che consisterebbe in un nuovo requisito da aggiungere a quelli introdotti dalla legge Fornero e da ultimo la mini-pensione, che seppure discutibile sarebbe utile per accelerare la soluzione dell’annosa questione degli esodati;
– quota 96: gli insegnanti che non possono accedere alla pensione a causa di un errore della riforma Fornero dovranno ancora attendere. Dopo l’ultima bocciatura dell’emendamento l’intervento è stato nuovamente rinviato in attesa di reperire le coperture finanziare per la definitiva soluzione;
– esodati: il Governo ha emanato la sesta salvaguardia, ma per gli esclusi, anche in questo campo, tutto viene rimandato. Se ne dovrebbe discutere a breve, ma per ora non vi sono certezze;
– opzione donna: sempre più sono le dipendenti interessate a questa forma di pensionamento; la proposta di proroga fino al 2018, con estensione anche agli uomini è saltata, ma non è escluso un prossimo intervento positivo.
Al momento non resta che l’attesa degli ulteriori interventi annunciati auspicando non siano sempre e solo a sfavore dei lavoratori.
Enti locali&Pa, quotidiano del Sole 24 Ore – 20 gennaio 2015