Il Sole 24 Ore, Marco Rogari. Non meno di 5-6miliardi. Tanto peserebbero sulla prossima manovra l’introduzione di Quota 41, un ulteriore aumento, seppure in forma leggera, delle pensioni minime, la proroga dell’Ape sociale con la contemporanea estensione del bacino di attività gravose e usuranti, e il prolungamento di Opzione donna ma con i requisiti in vigore prima della stretta scattata con l’ultima legge di bilancio. Sarebbe già un conto salato quello per soddisfare tutte le principali richieste che arrivano dalla maggioranza e dai sindacati sulle pensioni. E neppure definitivo, perché sarebbe destinato a salire a causa dell’impatto delle coperture collegate a nuove agevolazioni fiscali e incentivi destinati a favorire il rilancio della previdenza complementare. E, soprattutto, degli extra-costi per la rivalutazione dei trattamenti, spinti dall’andatura ancora molto sostenuta dell’inflazione, che si annunciano pesanti malgrado il meccanismo con penalizzazioni per le fasce più alte scattato all’inizio dell’anno. Il cosiddetto “totale” si avvicinerebbe dunque a 10 miliardi.
1 I COSTI
Corsa della spesa e incognita inflazione
Le stime dell’ultimo Def indicano una crescita della spesa del 7,1% quest’anno e del 4,4% nel triennio successivo. L’impennata sarebbe quindi di 65 miliardi di qui al 2026, al netto dei nuovi interventi da varare. A gennaio 2024, tra l’altro, dovrà scattare per tutti i pensionati un nuovo adeguamento degli assegni all’inflazione, in aggiunta al recupero della fetta non ancora riconosciuta per il 2023, che non dovrebbe essere inferiore al 6 per cento. Una rivalutazione costosa, nonostante la stretta fatta scattare dal governo con l’ultima manovra per le fasce di pensionati con reddito più elevato. A lanciare l’allarme sul peso dell’indicizzazione dei trattamenti pensionistici è stato anche l’ormai ex presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, nella lettera di saluto ai dipendenti dell’ente.
2 L’OBIETTIVO
Quota 41 a fine legislatura
Quota 41, che sarebbe gradita anche ai sindacati, è stata uno dei cavalli di battaglia della Lega (ma non solo) nel corso dell’ultima campagna. Questa misura il solo primo anno costerebbe, a seconda delle dimensioni della platea, dai 3 ai 4 miliardi per poi lievitare ulteriormente negli anni successivi. Una spesa che il Mef considera non sostenibile in questo momento. Anche perché Bruxelles, con cui il governo ha già aperto diversi fronti, guarda con molta attenzione all’andamento delle uscite pensionistiche. Di qui la decisione di trasformare Quota 41 in un obiettivo di fine legislatura e di abbandonare l’idea di una riforma organica finalizzata a superare la legge Fornero, optando per un piano graduale in più tappe. Che dovrà essere calibrato anche sulla base delle indicazioni che arriveranno dall’Osservatorio sulla valutazione della spesa previdenziale, fortemente voluto dal ministro del Lavoro, Marina Calderone
3 MISURE PONTE
Per Quota 103 e Ape possibile bis
La possibilità di uscire anticipatamente con almeno 62 anni d’età e 41 di versamenti è prevista soltanto per quest’anno. Il costo stimato al momento del varo dell’ultima manovra è di 572 milioni nel 2023 e di 1,18 miliardi il prossimo anno. Ma la spesa effettiva dovrebbe essere inferiore perché le uscite si stanno rivelando meno numerose dei poco più di 40mila pensionamenti previsti originariamente. E anche per questo motivo si sta già valutando l’ipotesi di un prolungamento di 12 mesi, con un onere aggiuntivo non superiore ai 300 milioni. In scadenza a fine anno c’è anche l’Ape sociale, che è stato prorogato di un anno con l’ultima legge di bilancio per un costo di 64 milioni nel 2023 e di 220 milioni nel 2024. Anche in questo caso un altro anno di “attività” appare quasi scontato, ma la spesa potrebbe leggermente salire nell’eventualità in cui dovesse essere ampliata la platea dei lavori gravosi che possono sostanzialmente utilizzare questo canale d’uscita.
4 IL NODO
Il restyling di Opzione donna
Al termine del 2023 non sarà più operativa anche Opzione donna, l’uscita anticipata con il ricalcolo contributivo dell’assegno, che con l’ultima manovra è stata limitata dall’attuale governo a poche migliaia di lavoratrici (di appena 21 milioni l’impatto sui conti ipotizzato per quest’anno). I sindacati e le opposizioni chiedono da mesi il ripristino dei requisiti in vigore nel 2022 (58 anni d’età, 59 per le lavoratrici autonome, e 35 di contributi). E questo ritorno al recente passato, che costerebbe 150-200 milioni, non sarebbe neppure sgradito al ministro del Lavoro, Marina Calderone. Ma non è del tutto escluso che possa spuntare una soluzione tutta nuova. Quello che appare già certo è che, a meno di sorprese dell’ultima ora, il prossimo anno non dovrebbero essere replicate le misure attualmente in vigore, che non convincono del tutto anche vaste aree della maggioranza.
5 UNDER 35
Staffetta generazionale e piano giovani
Giorgia Meloni nell’incontro a tutto campo di maggio a palazzo Chigi ha detto ai leader sindacali che uno degli obiettivi del governo è quello di evitare il rischio di una «bomba sociale» nei prossimi decenni. Anche per questo motivo il governo punta ad assicurare ai giovani “contributivi” con carriere discontinue un’adeguata copertura previdenziale, con forme di “garanzia” sul fronte della previdenza obbligatoria (e il possibile ricorso a contribuzioni figurative per i periodi di studio oltre a riscatti ultra-agevolati della laurea) e con accessi facilitati alla previdenza integrativa. Il principale scoglio da superare resta sempre quello delle risorse. Il ministero del Lavoro sta anche valutando la possibilità di incentivare la cosiddetta «staffetta generazionale». Che avrebbe la funzione di favorire l’uscita graduale dei lavoratori anziani in concomitanza dell’assunzione di giovani prevedendo anche meccanismi di “affiancamento”.
6 PREVIDENZA INTEGRATIVA
Rilancio fondi pensione Tfr con silenzio-assenso
Dare maggiore “appeal” alle forme di previdenza integrativa è un’altra priorità dell’esecutivo. Alcune misure, come è noto, dovrebbero scattare attraverso la delega fiscale. Ma anche la prossima legge di bilancio dovrebbe prevedere qualche novità. In ogni caso il governo sembra intenzionato ad alzare l’attuale soglia di deducibilità (ora a 5.164,57 euro annui). Ma tra le opzioni allo studio c’è anche una nuova fase di “silenzio-assenso” per destinare il Tfr ai fondi pensione. Un intervento che sarebbe in linea con una delle proposte formulate dai sindacati, che già nei primi incontri all’inizio dell’anno avevano insistito con il governo sulla necessità di percorrere questa via. Nel 2022 il flusso di Tfr riversato sulla previdenza complementare è stato di 7,3 miliardi: 339 milioni in più del 2021.
7 IL PRESSING
Ancora su le pensioni minime
I partiti della maggioranza si stanno già attivando per promuovere le loro misure di bandiera in vista della definizione della manovra. Forza Italia spinge in particolare per irrobustire ulteriormente le pensioni minime, che grazie ai ritocchi decisi con l’ultima legge di bilancio sono salite a 599,82 euro per gli “over 75”al mese esclusivamente per quest’anno e a 572,20 euro per tutti gli altri pensionati. Due le opzioni in campo: far lievitare di quasi 30 euro gli assegni per tutti o aprirle la strada a un bonus di 100 euro per i soli “over 75” (che arriverebbero quindi a 700 euro mensili). In entrambi i casi la nuova indicizzazione all’inflazione dovrebbe essere assorbita, almeno in parte, negli aumenti. Che però avrebbero costi non trascurabili: dai 500 agli 800 milioni a seconda del criterio selettivo che sarà scelto. Per un intervento più robusto a più vasto raggio servirebbero almeno dai 2 agli 8 miliardi
8 IL TENTATIVO
Separare previdenza e assistenza
Quella della separazione delle voci previdenziali da quelle assistenziali è una questione datata, sulla quale i sindacati insistono da anni. Anche nel governo c’è accarezza l’idea di avviare rapidamente un processo per giungere rapidamente a questa separazione. Anche se non sarà facile avere il via libera in sede Ue, soprattutto per problemi legati alla classificazione della spesa. Dall’ultimo monitoraggio dell’Inps è emerso che al 1° gennaio 2023 era da considerare assistenziale il 22,8% dei circa 17,7 milioni di trattamenti pensionistici complessivamente erogati dall’Istituto, per un costo di 24,4 miliardi. Nel solo 2022 l’Istituto ha pagato 1.350.222 nuove pensioni, il 46,5% delle quali di natura assistenziale. Queste prestazioni sono costituite per il 20,3% da pensioni e assegni sociali mentre il restante 79,7% riguarda invalidi civili sotto forma di assegno pensionistico e/o indennità.