Nicola Lillo. Tagli delle pensioni più alte dall’8% fino a un massimo del 20%, per un periodo che durerà due anni. L’emendamento sul taglio delle cosiddette «pensioni d’oro», quelle superiori ai 4.500 euro al mese, non è stato ancora presentato alla Camera, ma da Palazzo Chigi assicurano che arriverà quando la legge di Bilancio sarà discussa al Senato. Ed eccolo infatti l’emendamento su cui il governo è al lavoro in queste ore, nel tentativo di definire gli ultimi dettagli di questa norma che dovrebbe portare nelle casse dello Stato tra i 200 e i 300 milioni di euro.
Le bozze che girano tra i responsabili economici di Lega e M5S parlano di «disposizioni per favorire l’equità del sistema previdenziale attraverso la riduzione dei trattamenti pensionistici superiori ai 90 mila euro lordi l’anno». Sono soprattutto i Cinque Stelle a spingere per questa misura, mentre la Lega sarebbe più cauta, anche perchè gran parte di questi assegni sono destinati a pensionati del nord, il bacino elettorale del Carroccio.
Le quattro aliquote
L’emendamento inizialmente prevedeva tagli per 10 anni (la posizione più dura sostenuta dai grillini), poi però la durata è scesa a due anni grazie a un accordo tra i due partiti, «in coerenza dei limiti di temporaneità ed eccezionalità indicati dalla giurisprudenza costituzionale», come si legge nell’emendamento. Quello del governo giallo-verde è dunque un contributo di solidarietà, che è temporaneo come previsto dalle sentenze della Corte Costituzionale: un taglio permanente sarebbe infatti illegittimo.
Le aliquote indicate nelle ultime bozze di emendamento sono quattro: si parla di un taglio dell’8% per chi ha pensioni annue tra i 90 mila e i 130 mila euro, 12% fino a 200 mila, 16% fino ai 500 mila e 20% per quelle superiori ai 500 mila euro lordi l’anno.
Le eccezioni
Le percentuali però potrebbero anche scendere. Secondo quanto prevede l’ultima bozza di emendamento, le aliquote verrebbero ridotte infatti di due punti per i pensionati che sono già stati assoggettati al contributo di solidarietà deciso nel 2013. Un’ulteriore riduzione del 50% dell’aliquota dovrebbe essere a favore di chi ha una quota complessiva di anzianità di lavoro e anagrafica compresa tra 110 e 120 anni, se superiore l’azzeramento si annulla, per chi ad esempio ha 80 anni di età e 40 di contributi o 90 anni di età e 30 di contributi.
Dai tagli sono escluse inoltre le pensioni interamente contributive (mentre si applicheranno alle retributive e alle miste), quelle di invalidità e i trattamenti riconosciuti ai superstiti e a favore «delle vittime del dovere o di azioni terroristiche». Vengono invece comprese quelle erogate da Camera, Senato e Corte Costituzionale.
La clausola di salvaguardia
Comunque sia l’applicazione del meccanismo di taglio non può comportare in alcun modo un assegno annuo inferiore ai 90 mila euro lordi, quella che nell’emendamento viene chiamata «clausola di salvaguardia», e che comporta dunque un taglio solo sulla parte superiore a quella soglia.
Il governo punta a recuperare risorse tra i 200 e i 300 milioni, anche se si tratta ancora di stime. Il bottino dovrebbe poi confluire in un «fondo risparmio» all’Inps previsto dallo stesso emendamento e dovrebbe andare in favore di particolari categorie di pensionati svantaggiati, che saranno successivamente decise con decreto dal ministero del Lavoro e dell’Economia.