Dal Def possibili indicazioni sulla rotta per il 2025. Tra le varie opzioni Quota 104
Resta lenta la marcia di avvicinamento alla nuova riforma delle pensioni. Con il trascorrere delle settimane sembra diventare qualcosa di più di una semplice possibilità lo spostamento al 2026 dell’orizzonte per le nuove regole immaginate dalla maggioranza, come quella Quota 41 cara alla Lega
Il centrodestra, attualmente assorbito, così come le opposizioni, dalla partita elettorale che si gioca in questi mesi tra appuntamenti per le Regionali e la tornata delle “europee” del prossimo giugno, deve fare i conti con un quadro di finanza pubblica ancora in sofferenza e in gran parte condizionato dall’effetto Superbonus. E anche per questi motivi, ma non solo, il capitolo previdenza sembra sparito dall’agenda di governo. Non è escluso però che già nel Def, il Documento di economia e finanza, che è atteso non oltre metà aprile, l’esecutivo possa fornire almeno qualche indizio sulla rotta da tenere nel 2025 sulle pensioni. Anche perché le “misure ponte” varate con l’ultima legge di bilancio, da Quota 103 in forma “penalizzata” alla proroga di Ape sociale e Opzione donna in versione ulteriormente ristretta, dovrebbero tutte finire la loro corsa sostanzialmente il 31 dicembre 2024.
In assenza di un riassetto a tutto campo del sistema previdenziale, il governo dovrà comunque decidere se optare per una proroga delle regole per gli “anticipi” in vigore quest’anno o se ricorrere a qualche nuovo intervento. Come, ad esempio, quella Quota 104 (possibilità di uscita con almeno 63 anni d’età e 41 di contribuzione) che era comparsa nelle prime bozze della manovra 2024 per poi essere sostituita da Quota 103 agganciata al metodo di calcolo contributivo nella versione della legge di bilancio inviata al Parlamento.
L’impossibilità di ricorrere a un massiccio extradeficit per il prossimo anno, del resto, sembra ridurre significativamente i margini per far scattare la riforma della previdenza già dal 2025. Nuove misure strutturali, a partire da una Quota 41 anche vincolata al metodo contributivo, avrebbero bisogno di una consistente copertura finanziaria. E al momento non sembrano facilmente percorribili strade per recuperare risorse all’interno delle stesso sistema previdenziale, compresa quella di una nuova stretta al meccanismo di indicizzazione all’inflazione dei trattamenti. L’ultima legge di bilancio ha fissato all’inizio del 2027 il termine per far scattare eventualmente nuovi criteri per la rivalutazione delle pensioni sulla base delle indicazioni di un’apposita commissione di esperti nominati dal ministero dell’Economia.
Resta da capire se ci saranno ripensamenti o se l’esecutivo è orientato a guardare a vie alternative. E il Def in arrivo potrebbe in qualche modo dare qualche indicazione. L’ultima volta che Giorgia Meloni ha parlato di pensioni è stata in occasione della cosiddetta conferenza stampa di inizio anno. In quell’occasione la premier ha affermato che «la riforma previdenziale va costruita con equilibrio: il sistema migliore possibile ma uguale per tutti».
Una riforma previdenziale, pertanto, da concepire e definire senza corse contro il tempo e possibilmente, sulla base di quanto affermato dalla presidente del Consiglio, con il contributo di tutte le parti sociali. Che, però, dopo la serie di incontri, prevalentemente tecnici, dello scorso anno, nel 2024 sul tema della previdenza non sono state fin ad oggi ancora mai convocate dall’esecutivo, malgrado soprattutto i sindacati abbiano invocato a più riprese l’immediata riapertura del tavolo.
Resistono le pensioni giovani, il 17,5% a chi è sotto i 64 anni
A inizio 2024 oltre 5 milioni di trattamenti anticipati a privati e autonomi, il 48% degli assegni assistenziali a chi ha meno di 69 anni. Nel 2023 a 62,3 anni la media per gli anticipi degli statali
Il tempo delle baby pensioni è ormai lontano. Anche se non più tardi di un anno e mezzo fa erano ancora oltre 330mila gli assegni pagati dall’Inps a persone andate in pensione nel 1980, o ancora prima, grazie a requisiti di eccessivo favore, come si ricorda nell’ultimo rapporto di Itinerari previdenziali. Ma, nonostante la lenta salita dell’asticella anagrafica previdenziale per effetto del ciclo di riforme degli anni ’90 e Duemila (che si è di fatto concluso con la legge ”Fornero” peraltro interessata da diverse deroghe a colpi di Quote), resiste il folto gruppo delle cosiddette pensioni giovani, o quasi. Dall’ultimo monitoraggio dell’Inps sui flussi di pensionamento emerge che, al netto dei dipendenti pubblici, è destinato a soggetti con un’età inferiore ai 64 anni il 17,5% dei 17,7 milioni di trattamenti complessivamente erogati dalle gestioni dei lavoratori privati e autonomi dell’ente (per un costo di 248,7 miliardi) a tutto il 1° gennaio 2024. Si tratta di 3,1 milioni di assegni, con una quota significativa di “invalidità”, che lievitano a oltre 5,4 milioni considerando anche la fascia di beneficiari tra 65 e 69 anni.
Nel solo 2023 dalle stesse gestioni sono state pagate oltre 1,3 milioni di nuove pensioni (per una spesa di 14,3 miliardi), il 48,6% delle quali di tipo assistenziale. E, con lo scemare degli effetti di Quota 100, sostituita in rapida successione da Quota 102 e poi da Quota 103, la fetta degli assegni anticipati si è ridotta al 27,8%, pesando comunque per il 46% su tutto il conto delle prestazioni esclusivamente previdenziali.
Attualmente l’età media dei pensionati è di 74,1 anni (71,5 anni per gli uomini e 76,2 anni per le donne). Ma l’Inps nell’ultimo dossier del suo Osservatorio osserva che sul solo versante dei trattamenti di vecchiaia il 25,0% degli assegni è erogato a persone di età inferiore a 70 anni. Una percentuale che si alza fino al 27,4% per i pensionati di vecchiaia di sesso maschile. «Ciò – afferma l’Inps – è giustificato dall’elevato numero di pensioni di anzianità liquidate negli anni passati».
I trattamenti di natura prettamente previdenziale versati dall’Istituto attraverso le gestioni dei dipendenti privati e degli autonomi sono 13,6 milioni. E quasi il 40%, per la precisione il 37,1%, pari a più di 5 milioni di prestazioni, è riconducibile ad assegni d’anzianità o comunque in forma anticipata. L’Inps fa notare che a beneficiare di circa il 73,8% delle pensioni di anzianità o anticipate sono soggetti di sesso maschile, mentre per i trattamenti di vecchiaia veri e propri questa percentuale si abbassa al 38,1%.
Gli altri 4,1 milioni di trattamenti, il 23,3% del totale, hanno una fisionomia chiaramente assistenziale: sono quelli erogati dall’Istituto a sostegno di situazioni di invalidità o di disagio economico, come le prestazioni agli invalidi civili, comprese le indennità di accompagnamento e pensioni e assegni sociali. Ben il 48% di questo bacino è destinato a persone con un’età inferiore ai 69 anni, mentre nel caso delle invalidità si arriva a quota 63%.
Con lo stop a Quota 100 e il ricorso a Quota 102 e Quota 103 (ora in versione “penalizzata” con l’aggancio al metodo di calcolo contributivo), come detto, la corsa ai pensionamenti anticipati ha subito un chiaro rallentamento, anche nel pubblico impiego, dove Quota 100 ha avuto un certo “appeal”. L’ultima rilevazione dell’Inps su quest’ultimo versante ha registrato una riduzione dei nuovi trattamenti anticipati liquidati ai dipendenti pubblici, che sono scesi dai 74.253 con decorrenza 2022 ai 56.913 con decorrenza 2023. L’età media di accesso in anticipo alla pensione, sempre alla “decorrenza”, è rimasta però invariata: 62,3 anni. Un livello più basso dell’età media di pensionamento nell’area Ocse: 64,4 anni nel 2022 per gli uomini entrati a 22 anni nel mondo del lavoro. La stessa Ocse però ha sottolineato come i cosiddetti “millennials” italiani siano destinati ad approdare alla pensione non prima dei 71 anni, la soglia più alta dopo la Danimarca.
In ogni caso nell’ultimo rapporto di Itinerari previdenziali si evidenzia che una delle maggiori criticità del sistema pensionistico italiano resta l’elevato numero di norme che hanno previsto anticipi rispetto all’età legale di pensionamento. Il centro studi presieduto da Alberto Brambilla la definisce «un’autentica giungla pensionistica, che ha prodotto (in uno dei Paesi più longevi al mondo) un abbassamento dell’età effettiva di pensionamento».
Il Sole 24 Ore