Alessandro Barbera. Da un lato le attese dei pensionati, e la mole di ricorsi contro l’Inps che la sentenza rischia di portare con sé. Dall’altra l’appuntamento delle amministrative e il giudizio della Commissione europea. Dal punto di vista di Matteo Renzi la decisione della Corte che ha dichiarato illegittimo il blocco delle indicizzazioni varato dal governo Monti non poteva arrivare in un momento peggiore.
A meno di non scegliere la restituzione degli arretrati a più di cinque milioni di pensionati – ipotesi al momento esclusa – qualunque decisione del governo lascerebbe scontente decine di migliaia di persone nel pieno della campagna elettorale. Nel frattempo a Bruxelles la sentenza ha fatto suonare l’allarme rosso sulla tenuta dei conti italiani. A Bruxelles c’è il timore che i conti di quest’anno sforino il limite del tre per cento. Se così fosse, la Commissione sarebbe costretta ad aprire una procedura di infrazione. Insomma, Palazzo Chigi e Tesoro hanno bisogno di tempo. E per ottenerlo, l’unica strada è un decreto che sospenda per qualche settimana gli effetti della sentenza. Di deciso non c’è nulla, ma questa è l’ipotesi di lavoro al momento più concreta.
La questione è tecnicamente delicata, perché in teoria una legge dello Stato (la numero 400 del 1988) vieterebbe di approvare norme che sospendono gli effetti della sentenza. I funzionari e i tecnici di Palazzo Chigi si stanno già consultando con il Quirinale per trovare una soluzione che non metta in difficoltà Mattarella, chiamato a controfirmare un provvedimento che, nei fatti, potrebbe essere interpretato come un sgarbo agli ex colleghi della Corte. L’argomento decisivo che il governo intende far valere, e che supererebbe ogni dubbio costituzionale, è il richiamo al rispetto del nuovo articolo 81 della Carta, quello che ci vincola al pareggio di bilancio. Il peso finanziario della sentenza – circa 12 miliardi fra arretrati e competenza di quest’anno – sarebbe tale da giustificare la decisione. Mai nella storia repubblicana una sentenza della Corte aveva influito così pesantemente sui saldi di finanza pubblica. Saldi che dopo la firma del nuovi Trattati non possono essere modificati se non con il via libera preventivo della Commissione.
La necessità di prendere tempo non ha solo a che vedere con le preoccupazioni di Renzi di non pagare un prezzo in campagna elettorale. L’Europa chiede che l’Italia imputi la restituzione di tutti gli arretrati al deficit di quest’anno. Se questo sia o meno il modo più corretto di contabilizzare la maggior spesa, è questione dibattuta. Secondo alcuni l’Italia dovrebbe puntare i piedi, imputare la spesa negli anni di competenza (dal 2012 al 2014), e infischiarsene delle conseguenze, ovvero l’apertura di una procedura retroattiva di infrazione. Se deciderà di tenere conto delle obiezioni della Commissione, dovrebbe in ogni caso concordare le condizioni alle quali aumentare il deficit fino al limite del 3 per cento, finora considerato invalicabile. Per i falchi di Bruxelles questa è l’occasione perfetta per costringere il governo a prendere sul serio gli impegni sui tagli alla spesa. Per Renzi potrebbe essere l’occasione altrettanto ghiotta per chiedere una deroga e abbattere il tabù del tre per cento come fanno da anni Francia e Spagna. Una cosa è certa: la decisione su quanto restituire ai pensionati dipenderà anche da quel che nei prossimi giorni si deciderà negli uffici ovattati delle burocrazie comunitarie.
La Stampa – 9 maggio 2015