Il Sole 24 Ore. Le troppe deroghe pensionistiche alla legge Fornero e il perdurare della pandemia. Una miscela quasi esplosiva che sta mettendo a dura prova il nostro sistema di Welfare. Con una spesa pensionistica che è la seconda dell’area Ocse. E che sta colorando di rosso i conti dell’Inps. L’istituto guidato da Pasquale Tridico chiuderà l’esercizio 2021 con un risultato negativo di 20,2 miliardi.
Anche se lo stesso presidente dell’Inps fa notare che il disavanzo è più contenuto rispetto a quello del 2020 (-27,1 miliardi) e che la causa principale è da ricercare negli interventi adottati per fronteggiare l’emergenza Covid. Ma Tridico conferma anche gli squilibri che stanno patendo le gestione pensionistiche dei lavoratori autonomi e dei dipendenti pubblici.
L’Ocse: l’età di uscita dal lavoro è a 61,8 anni per le troppe uscite anticipate
L’Ocse nel rapporto “Pensions at a Glance 2021” evidenzia come nel nostro Paese l’età d’uscita dal lavoro sia attualmente particolarmente bassa: in media 61,8 anni. Un dato che risulta chiaramente al di sotto della media Ocse (63,1 anni) e che favorisce la corsa della spesa pensionistica: al 15,4% del Pil nel 2019, tra le più alte dell’area Ocse. Il motivo principale è da attribuire alle troppe deroghe introdotte negli ultimi anni per favorire i pensionamenti anticipati. A cominciare da Quota 100 che «ha facilitato l’accesso ai diritti pensionistici, poiché in precedenza il pensionamento anticipato era subordinato al requisito di contribuzioni record di 42,8 anni per gli uomini e di 41,8 anni per le donne».
E a questo proposito l’Ocse sottolinea che «oltre all’Italia, solo la Spagna permette di accedere ai pieni diritti pensionistici prima dell’età pensionabile legale con meno di 40 anni di contributi, con il Belgio che richiede 42 anni, la Francia 41,5 anni e la Germania 45 anni». Quota 100 nel 2022 sarà sostituita da Quota 102 per effetto della legge di bilancio varata dal governo Draghi. Ma nel suo report l’Ocse ricorda che esistono altri canali d’uscita anticipa: da quello per i lavoratori interamente “contributivi” (almeno 64 anni d’età e 20 di contributi) fino a Opzione Donna e all’Ape sociale.
I sindacati insistono: serve nuova flessibilità in uscita
Ma i sindacati, e anche alcuni partiti della maggioranza, non sono affatto convinti che a minare il sistema previdenziale siano le deroghe alla “Fornero”. Cgil e Uil hanno proclamato lo sciopero generale mettendo nel mirino la ripartizione degli 8 miliardi del fondo taglia-tasse della quale non beneficerebbero abbastanza i ceti più poveri e in difficoltà, ma hanno rimarcato anche la mancanza di risposte del governo sulle pensioni
Il tavolo sugli interventi da adottare per il “dopo Quota 102” non è stato ancora convocato. E Cgil, Uil e anche Cisl continuano a chiedere una marcata flessibilità in uscita a partire già dai 62 anni d’età, non proprio in linea con gli obiettivi del governo, che punta a mantenere qualsiasi correzione nell’alveo del sistema contributivo.
Il peso della pandemia sui conti Inps
Il nostro ente previdenziale deve fare i conti non solo con i costi delle prestazioni pensionistiche ma anche con le ricadute della pandemia, che hanno una ricaduta significativa sul bilancio. Quest’anno l’Inps chiuderà l’esercizio con un disavanzo di oltre 20 miliardi ( circa 7 in meno dello scorso anno). E lo stesso Tridico ha fatto notare come dall’analisi dei bilanci tecnici delle gestioni dell’Inps, sulla base di ipotesi condivise con il ministero dell’Economia, emerga che partendo da un avanzo di 12,5 miliardi nel 2020 si arriva a un patrimonio netto negativo di oltre 90 miliardi di euro nel 2029.
Gli squilibri del sistema pensionistico sono evidenti. Secondo Tridico diverse sono le cause, a partire dalla dinamica demografica con un aumento sproporzionato della popolazione anziana e l’assottigliamento della fascia d’età compresa tra gli 0 e i 29 anni: dal 51,6% nel 1951 al 28,5% nel 2019. Ma un peso non trascurabile l’hanno anche l’elevato livello di spesa pensionistica, dovuta soprattutto a regole d’accesso e di calcolo in passato più generose, la bassa crescita, con conseguente riduzione delle entrate contributive, e i problemi legati all’occupazione.
La gestione Inps dei lavoratori autonomi è sempre più in sofferenza perché patisce una continua decrescita del numero degli assicurati e un aumento della valutazione dei crediti non esigibili. Secondo il presidente dell’Inps per “puntellare” questa gestione sarebbero necessarie misure di sostegno alle attività autonome e occorrerebbe anche evitare le uscite anticipate se non in situazioni di reale prossimità ai requisiti ordinari.
Il “rosso” pensionistico del pubblico impiego
Delicata è anche il quadro delle gestioni Inps dei dipendenti pubblici alle prese ormai con un disavanzo strutturale destinato a peggiorare nei prossimi anni. Un disavanzo dovuto prevalentemente alla contrazione del numero degli iscritti (anche a causa dei ripetuti blocchi del turn over nel pubblico impiego) e da un levato livello della spesa pensionistica determinato da regole di calcolo più generose di quelle delle gestioni private e, per alcuni comparti, da requisiti di accesso alle prestazioni con agevolazioni che consentono il pensionamento anche 10 anni prima della soglia di vecchiaia. A parere di Tridico sarebbe possibile invertire la rotta solo con un’impennata dell’occupazione di almeno il 4% nei prossimi anni per tutto il pubblico impiego.