Il Sole 24 Ore. Un pressing incessante. È quello esercitato sulle pensioni dal Parlamento, oltre che dai sindacati, per “costringere” il governo ad adottare misure strutturali, e non “isolate” o in forma “una tantum”, per gestire il dopo Quota 100. Un segnale chiaro è arrivato dalle risoluzioni sulla Nadef (che ha di fatto ignorato il dossier-previdenza) votate ieri dai due rami del Parlamento. Quasi in extremis la maggioranza ha trovato una non facile sintesi, soprattutto tra le posizioni della Lega e quelle di Pd e M5S, inserendo nel testo finale una chiara sollecitazione all’esecutivo, che viene impegnato a «prevedere l’implementazione di meccanismi di flessibilità in uscita del mercato del lavoro».
Una richiesta arrivata poche ore dopo l’intervento del ministro dell’Economia alle commissioni Bilancio di Montecitorio e Palazzo Madama, dove Daniele Franco ha anzitutto ribadito che quella delle pensioni è una delle «questioni aperte» che sarà affrontata nella legge di bilancio. E ha poi cercato di tranquillizzare in qualche modo la maggioranza sostenendo che nella Nota di aggiornamento al Def non si accenna al capitolo previdenza perché «si fa riferimento a qualche possibile utilizzo» degli spazi fiscali disponibili, «ma non è necessariamente una lista esaustiva».
Ma la partita sul dopo “Quota 100” resta tutta in salita. Con la Lega che, dopo il non esaltante risultato del primo turno delle elezioni amministrative, appare ancora più determinata a combattere per imporre, almeno in parte, il suo piano. Che, in alternativa alla proroga secca di un anno dell’opzione per i pensionamenti anticipati introdotta dall’esecutivo “Conte 1”, punta, come sottolinea il sottosegretario al Lavoro, Tiziana Nisini, su un nuovo «Fondo nazionale per la flessibilità in uscita dal mercato del lavoro». Un Fondo che fino al raggiungimento della “soglia” di vecchiaia o di quella tradizionale di “anzianità” consentirebbe ai lavoratori, in caso di necessità, di uscire anticipatamente dal lavoro con 62-63 anni d’età. Ma nella maggioranza ci sono anche altre scuole di pensiero, come quella del Pd che preme per garantire un canale d’uscita anzitutto ai lavoratori ”fragili” e a quelli impegnati in attività gravose. Il tutto deve fare poi i conti con l’incognita costi alla quale guarda con attenzione il Mef.
In ogni caso il messaggio delle Camere al governo non lascia spazio a dubbi interpretativi: per il prossimo anno la sola proroga in versione allargata dell’Ape sociale non basta, occorrono altri interventi. Ed è sostanzialmente lo stesso arrivato all’ora di pranzo dai sindacati nel corso di un’audizione alla commissione Lavoro di Montecitorio. «È necessario superare l’attuale sistema previdenziale, non intervenendo con semplici ritocchi ma operando una riforma complessiva», ha detto per la Cgil Roberto Ghiselli tornando a chiedere una rapida convocazione da parte del governo, visto anche il ridotto tempo a disposizione prima del varo della legge di bilancio. E anche Domenico Proietti (Uil) ha evidenziato come gli «interventi spot e i correttivi continui» non facciano altro che «alimentare l’insicurezza dei lavoratori». Ma la richiesta dei sindacati di un nuovo sistema di flessibilità in uscita, accompagnato da interventi di tutela per le lavoratrici e per chi è impegnato in lavori di cura, non va tradotta in una bocciatura dell’ipotesi di estensione dell’Ape sociale. Che anzi, ha affermato Ignazio Ganga (Cisl) «è uno strumento che dovrebbe essere rafforzato e reso strutturale».