E a sorpresa si scopre che il costo dell’Ape dipenderà dai tassi di mercato. Più in là si farà la domanda, maggiore il rischio di rate ventennali pesanti e dunque di assegni futuri bassi. O di anticipo inferiore a quanto desiderato. Operazione a rischio flop?
C’è un rischio flop insito nell’Ape volontaria? L’Anticipo pensionistico, ideato dal governo Renzi per mandare in pensione chi è a tre anni e sette mesi dai requisiti di legge, farà la stessa fine dell’anticipo del Tfr e del part-time agevolato? Destinato dunque ad essere archiviato come una misura poco usata perché inefficace o scarsamente conveniente? Il pericolo in effetti esiste. E non solo per gli ostacoli nella procedura: certificazione Inps, richiesta dello Spid, simulazione e ben tre domande da inoltrare solo online. Ma anche per un mero discorso di tasche. Si sa che l’Ape è un prestito con un costo. Si sa anche che il governo Gentiloni è in trattativa con banche e assicurazioni per spuntare un prezzo ragionevole. Ma quel che non si immaginava ancora era la prospettiva di una corsa alle condizioni migliori. Come se si trattasse di un mutuo. Chi prima arriva, meglio vola.
Il nodo tassi. Anticipare la pensione con l’Ape comporta la sottoscrizione di due contratti: uno con la banca e l’altro con l’assicurazione (a copertura del rischio di premorienza). E’ lo stesso pensionando a scegliere tra una rosa di istituti e compagnie, convenzionate con lo Stato. Ma a quale tasso? A quello di mercato al momento della domanda, agganciato a parametri europei ancora da definire (come i mutui legati a Irs e Euribor). E dunque quanto peserà questo prestito? Lo scorso novembre Palazzo Chigi aveva simulato scenari al 2,5%. Ma nel frattempo le condizioni sono cambiate. Gli spread si sono alzati. Così anche le condizioni di partenza dell’Ape che debutterà il prossimo primo maggio. E la situazione potrebbe peggiorare in corso d’anno. E’ pur vero che si tratta di un tasso fisso: rimane quello per tutti e venti gli anni di restituzione del prestito (dal compimento dei 67 anni fino agli 87 anni). Come fosse un mutuo a tasso fisso, appunto. Ma con l’inflazione che rialza la testa e le operazioni straordinarie della Bce (il Quantitative easing) avviate verso la fine, i tassi torneranno a crescere, dopo la lunga bonaccia di questi anni.
Il paradosso. Con quali conseguenze? Il risultato è un vero e proprio paradosso. A parità di condizioni – anni di contribuzione, futura pensione, anticipo richiesto (sei mesi, un anno o due e fino a un massimo di tre anni e sette mesi) – il lavoratore che fa domanda subito, diciamo a maggio o giugno prossimo, con ogni probabilità spunta condizioni migliori del collega che la inoltra sei mesi dopo, a fine 2017, quando certo trova condizioni di partenza peggiorative. In questo secondo caso, la decurtazione della futura pensione (caricata della rata di restituzione del prestito) diventa più pesante. O in alternativa – dovendo essere rispettato il vincolo creditizio di evitare il sovraindebitamento del richiedente – la famosa “nonna che si vuole godere il nipotino” (come ripeteva Renzi) si deve accontentare di anticipare la pensione per meno anni di quanto desiderato. D’altronde non può che essere così, visto che le banche non regalano nulla e che i tassi, ora bassissimi, prima o poi dovranno pur salire. Ma l’operazione, conti alla mano, rischia davvero il flop
Repubblica – 21 febbraio 2017