Il governo propone di escludere dall’uscita a 67 anni il 10% dei lavoratori – 17 mila su 170 mila – che nel 2019 si troveranno allungato il traguardo per la pensione di vecchiaia di cinque mesi, per l’aumentata speranza di vita. La Cgil ne chiede il 50%, includendo anche i mestieri manuali. Il tavolo tecnico sulla previdenza – essenziale per il confronto politico di lunedì prossimo con il premier Gentiloni e i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil – parte in salita. Oggi e domani gli esperti di Palazzo Chigi metteranno su carta numeri e impegni di spesa. Ma SusannaCamusso fa già capire che la Cgil non ci sta. Cisl e Uil più caute.
«Potremmo passare il pomeriggio a studiare gli emendamenti sul rinvio, in questo momento è più interessante delle non risposte che sta dando il governo », dice la leader Cgil in Senato, durante l’audizione sulla manovra di Bilancio, carente secondo Camusso di qualsivoglia intervento sulle pensioni: «C’è il vuoto pneumatico». Senza accordo con Gentiloni, scenario sempre più probabile, in effetti è pronto a scattare il piano B. Andranno in votazione gli emendamenti già depositati sia dal Pd prima firmataria la senatrice Erica D’Adda – che dall’opposizione (Lega, M5S, Mdp, Si): spostare di sei mesi il termine per il decreto interministeriale, previsto entro il 31 dicembre prossimo, che ratifica l’aumento dell’aspettativa di vita certificato dall’Istat. Il «paracadute» invocato da Camusso – «un provvedimento di legge che eviti lo scatto automatico» – sin dal primo incontro con il premier nella Sala Verde di Palazzo Chigi.
In questo modo, la palla passerebbe al prossimo governo, rischiando però che un tema così delicato anche per l’equilibrio dei conti pubblici finisca nelle mani di un esecutivo sulla cui stabilità in questo momento è lecito dubitare. Ecco perché Bruxelles è allarmata. Le autorità europee monitorano con preoccupazione il dibattito sulle pensioni. Un nuovo buco nei conti italiani – da aggiungere all’altro già contestato da 1,7 miliardi sarebbe difficilmente perdonabile, trapela da qualificate fonti. E la Commissione si troverebbe nella scomoda posizione di dover sanzionare un Paese che invece, in vista di elezioni politiche così delicate, non vuole punire.
L’esecutivo Gentiloni conosce la posta in gioco. Ecco perché già ieri, nel primo incontro tecnico con i sindacati, la proposta è stata chiara. Esentare dai 67 anni tutti i 15 mila lavoratori “gravosi” che già oggi possono anticipare la pensione a 63 anni, grazie all’Ape sociale a carico dello Stato. Si tratta, tra gli altri, di infermieri turnisti, maestre di nido e prima infanzia, operai edili, minatori, facchini, camionisti. A questi aggiungerne più o meno altri 2 mila, da pescare tra siderurgici, marittimi e agricoltori. Ma con lo stesso paletto degli altri “gravosi”: aver svolto l’attività pesante per almeno sei degli ultimi sette anni. Senza però garantire loro anche l’accesso all’Ape sociale. Detto in altri termini, 17 mila lavoratori potrebbero andare in pensione di vecchiaia a 66 anni e 7 mesi, come oggi, anziché a 67 anni. Ma i 2 mila in più senza Ape. Anche se il senatore Pd ed ex Cisl Giorgio Santini si è fatto scappare ieri che «siamo disponibili ad ampliare la platea» dell’Ape sociale. I tecnici del governo hanno poi ricordato ai sindacati che gli “usuranti” sono già esclusi dall’automatismo dell’attesa di vita fino al 2026. Tra questi, ci sono i lavoratori notturni, alla catena di montaggio, in spazi ristretti, sottoterra o sulle gru.
D’altro canto non esiste un metodo scientifico per individuare quali professioni hanno una speranza di vita residua a 65 anni inferiore alla media. Lo ha confermato ieri anche il presidente Istat Giorgio Alleva. Ci vorrebbe tempo. E «un progetto da hoc» con Inps e Inail, mai costruito. Perché individuare le categorie non basta, occorre valutare anche «durata» e «percorso individuale».
Repubblica – 7 novembre 2017