Uno scivolo verso la pensione sotto forma di contributi aggiuntivi pagati direttamente dal datore di lavoro. Ufficialmente la proposta non è sul tavolo della concertazione, quello che domani si riunirà per fare il punto sulle modifiche da inserire nella prossima Legge di Bilancio. Ma nel governo l’idea comincia a farsi strada.
In concreto salterebbe l’obbligo per il datore di lavoro di versare solo contributi legati allo stipendio del dipendente. La conseguenza? In caso di accordo per l’uscita anticipata, l’azienda potrebbe versare direttamente dei contributi aggiuntivi ed esentasse per il dipendente, avvicinando così il momento della sua pensione o rendendo più pesante il suo assegno futuro. Oggi, invece, i soldi dello scivolo devono andare direttamente al lavoratore. Che prima ci paga sopra le tasse, perdendone una parte. E poi li usa per versare i contributi. Una differenza non da poco.
Ieri il sottosegretario alla presidenza del consiglio Tommaso Nannicini ha incontrato i deputati della sinistra Pd. «Dobbiamo accelerare — ha detto — tutti ci auguriamo che a settembre ci sia qualcosa da firmare insieme ai sindacati».
Nannicini, però, non ha risposto quando il presidente della commissione Lavoro della Camera Cesare Damiano gli ha detto che per il pacchetto pensioni servirebbero «2 miliardi di euro». L’intenzione del governo è di restare sotto il miliardo e mezzo e i tagli alle stime di crescita di questi giorni potrebbero portare l’asticella ancora più in basso. La rosa degli interventi è sempre la stessa. L’Ape, l’anticipo pensionistico fino a tre anni, e l’aumento della no tax area.
L’allargamento ad altri due milioni di persone della quattordicesima, l’assegno extra per i redditi bassi. È possibile che il bonus venga un po’ ridotto rispetto ai 500 euro standard in modo da risparmiare qualcosa sulle coperture. E ancora interventi per i lavori usuranti, bloccando la crescita dell’aspettativi di vita a 67 anni, e anche per quelli precoci, che hanno cominciato a lavorare prima dei 18 anni. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha detto ieri che proseguirà la sperimentazione della cosiddetta opzione donna, che permette di andare in pensione prima accettando un assegno calcolato con il sistema contributivo. Qui però non servono nuovi soldi perché saranno recuperate le risorse già stanziate e non ancora spese. Stesso discorso per gli esodati, i lavoratori che rischiano di rimanere senza stipendio e senza pensione. Alla Camera è partito l’esame del disegno di legge per l’ottava salvagurdia. Ad andare in pensione con le vecchie regole sarebbero altre 30 mila persone.
Lorenzo Salvia – Il Corriere della Sera – 28 luglio 2016