Ormai siamo al punto che quando si parla di Brexit, come è successo ieri al pranzo preparatorio del consiglio europeo al Quirinale, tutti i commensali pensano all’Italia anziché al Regno Unito.
Cioè, alla possibilità della nostra definitiva rottura con l’Europa.
Sergio Mattarella lo fa con terrore.
I ministri convocati a quel tavolo sono meno preoccupati di lui (Salvini meno degli altri) e qui sta la difficoltà di capirsi. La domanda del presidente della Repubblica in queste ore è sempre la stessa: avete uno straccio di alleato, una minima sponda con qualcuno dei partner internazionali sulla vostra manovra economica? Una domanda talmente pressante che ieri, durante l’incontro, Giuseppe Conte si è sentito in dovere, mentre gli altri facevano i vaghi, di affrontare l’argomento: «Presidente, durante la riunione a Bruxelles avvieremo delle interlocuzioni sulla legge di bilancio, cercheremo di spiegare i nostri obiettivi». Per tornare a mani vuote o piene?
Di certo c’è che dietro le dichiarazioni in piazza e i post sui social del due Salvini-Di Maio, l’edificio scricchiola. Adesso ne hanno preso consapevolezza anche i due alla prima esperienza di governo. E al ministero del Tesoro è già allo studio (di nuovo) un piano di ridimensionamento del reddito di cittadinanza e della Fornero, giusto per quadrare i conti. Che al momento ancora non tornano. Secondo il Quirinale la manovra deve cambiare, soprattutto in uno dei suoi asset fondamentali: proprio la riforma del sistema pensionistico. Il grande pericolo per i conti pubblici è annidato lì. Lo pensano la Commissione, la Bce, Bankitalia. La quota 100 di oggi è destinata a far crescere la spesa previdenziale in maniera dirompente negli anni e di conseguenza il debito pubblico.
Per Mattarella, e non solo per lui, la parte da correggere nella legge di stabilità interessa principalmente l’età pensionistica. La fatidica sogliadei 62 anni con 38 di contributi.
Adesso il capo dello Stato vuole usare il metodo del dialogo, la cosiddetta moral suasion, in attesa del passaggio parlamentare di oggi sulla nota al Def. Mentre il decreto fiscale, ancora per aria, è già slittato da ieri al consiglio dei ministri di lunedì.
C’erano anche i vicepremier a tavola ieri insieme con Conte, Tria (Economia), Savona (Affari europei), Moavero (Esteri), Trenta (Difesa), Bonafede (Giustizia) e Giorgetti al tavolo del Quirinale. Al di là delle foto ufficiali, con il ministro dell’Interno permane il gelo. Salvini sa che il bersaglio grosso lassù è proprio la “sua” Fornero. Qualcuno nelle stanze del palazzo presidenziale ricorda che la manovra si può cambiare: è avvenuto nel 1996, quando Romano Prodi andò a Valencia per proporre ad Aznar di entrare insieme nella seconda fase della moneta unica. La risposta fu secca: «La Spagna è pronta, entra subito». E il governo fu costretto a cambiare la Finanziaria varando l’euro-tassa. Si può fare dunque.
Ma sono cambiati governanti e percezione dell’Europa.
Il premier Conte prima di salire con gli altri al Colle ha rassicurato i due irrequieti vice: «Nessuna tentazione di tornare indietro, teniamo la linea». Invitandoli però ad «abbassare i toni su Bruxelles, Bankitalia, Fmi per non alimentare ulteriori tensioni».
È l’impegno che ha preso con Mattarella nel colloquio telefonico avuto con lui già martedì sera, dopo una giornata di bombardamenti alla manovra (da Fmi e Bankitalia tra gli altri). Resta il fatto che nella riunione coi tecnici del Tesoro tenuta al mattino dai sottosegretari economici Garavaglia, Bitonci (Lega) e Castelli (M5S) si è preso atto ancora una volta che la coperta dei 37 miliardi resta corta.
Una ipotesi di studio avanzata dal Mef allora porterebbe a ridurre la platea dei beneficiari del reddito di cittadinanza ai disoccupati in cerca di prima occupazione, almeno per il 2019. Per la riforma pensionistica i 7 miliardi stanziati non sarebbero sufficienti (mancano 600 milini almeno), dunque in alternativa si potrebbe decollare da febbraio-marzo.
Compromesso che Salvini e Giorgetti potrebbero anche accettare, a patto che non si rivedano età anagrafica e anni di contribuzione come invece auspicherebbe il Quirinale.
Di Maio non vuol cedere di un millimetro. «Mi è chiaro che dobbiamo limare, aggiustare qualcosa, ma al reddito non rinuncio – ha ribadito nei colloqui privati con i leghisti – e in fondo se l’Europa ci boccia la manovra per noi sarebbe anche meglio.
Possiamo reggere il colpo», si esalta. Salvini fa notare a quel punto al “socio” di governo che anche a lui sarebbe piaciuto «cancellare totalmente la Fornero, ma ci vorrebbero 20 miliardi».
Come dire, non si può avere tutto e subito. Esattamente quel che invece pretende il capo del M5S.
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