Dei circa 40 miliardi di euro che la manovra si propone di ottenere nei prossimi 4 anni, quasi 7 dovrebbero arrivare dalla previdenza. I pensionati, attuali e futuri, contribuiranno quindi in maniera robusta al risanamento finanziario del Paese. Vale la pena di ragionare sull’insieme delle misure per vedere se alla significativa “quantità” dei sacrifici corrisponda una certa “qualità” degli stessi. Trattandosi di interventi sulla spesa pubblica, la qualità consiste essenzialmente nel rispetto di tre criteri: il principio di equità dei tagli e quindi il loro incidere in misura proporzionalmente più elevata sui redditi più elevati; la coerenza dei provvedimenti tra loro e con il disegno pensionistico complessivo; e infine la loro credibilità, nel senso di annunci a cui seguiranno azioni sicure.
Se consideriamo questi diversi profili di giudizio, la valutazione d’insieme è scarsamente positiva.
I provvedimenti principali sono tre: anticipazione dal 2015 al 2014, e velocizzazione, del provvedimento che aggancia all’aspettativa di vita i requisiti per il pensionamento; riduzione dell’indicizzazione delle pensioni al costo della vita, per fasce di importo e per il biennio 2012-13; attivazione di un percorso, lento e soprattutto dilazionato nel tempo (partirà dal 2020!) di aumento dell’età pensionabile delle lavoratrici private, per uniformarle alle lavoratrici pubbliche.
La prima misura può essere, in sé, giudicata coerente con il metodo contributivo adottato con la riforma del 1995. Se l’aspettativa di vita aumenta, è giusto che almeno una parte di tale aumento sia dedicato al lavoro. L’allungamento della vita lavorativa rappresenta la risposta più efficace al problema della sostenibilità del sistema pensionistico causato dall’invecchiamento, e il fatto che esso avvenga in modo automatico sottrae materia alla controversia tra le parti sociali e all’uso improprio del sistema pensionistico da parte della classe politica. Ma ci sono due problemi di coerenza: anzitutto, mentre con una mano si anticipa un sacrificio, con l’altra si ritarda il provvedimento di equiparazione dell’età di pensionamento (delle lavoratici tra di loro e con gli uomini). In secondo luogo, vi è un’incoerenza con il metodo contributivo. Questo ha il vantaggio di conciliarsi pienamente con la flessibilità dell’età di pensionamento, a partire ovviamente da un’età minima -(anch’essa aumentabile con la speranza di vita). La variabilità dei coefficienti per il calcolo delle pensioni fa sì che a questa flessibilità corrisponda un’equa variazione della pensione, nel senso che chi va in pensione più tardi è premiato e non penalizzato, come avviene con le pensioni retributive. Tuttavia, la flessibilità è oggi di fatto annullata da una serie di restrizioni e dall’inapplicabilità dei coefficienti, disponibili soltanto tra le età 57 e 65.
Anche la seconda misura (riduzione/sospensione dell’adeguamento delle pensioni al costo della vita) presenta, al tempo stesso, elementi di equità e di iniquità. È equa perché rispetta la progressività: le pensioni ricche (ossia sopra i 2.380 euro lordi) perdono completamente l’indicizzazione, e quindi sono destinate a impoverirsi in misura tanto maggiore quanto più elevato sarà il tasso di inflazione; per quelle medie l’adeguamento è parziale e per quelle povere (fino a tre volte il minimo) è totale. È anche equa verso le generazioni future, perché almeno una parte di queste pensioni (tutte retributive) non è pagata dai contributi versati dagli stessi lavoratori. La misura è però ispirata alla logica del “fare cassa” e ingiustamente punitiva verso i pensionati medi. Soprattutto, è lampante l’iniquità del confronto con il mantenimento dell’indicizzazione dei generosi vitalizi dei parlamentari e dei politici in generale.
La terza misura, che innesca dal 2020 l’aumento dell’età di uscita delle lavoratrici private, è come se fosse scritta sulla sabbia, cioè non è credibile. È difficile capire in base a quale logica il Governo non abbia avuto il coraggio di avviare fin da subito l’equiparazione dell’età di pensionamento delle donne, rinunciando a punire i pensionati con il taglio dell’indicizzazione. C’è da scommettere che, magari tra un paio d’anni, quel provvedimento sarà anticipato e, pertanto, esso va incluso direttamente nel novero dei provvedimenti a valere sui prossimi anni. Una piccola “furbizia”, forse non l’unica, della manovra
ilsole24ore.com – 7 luglio 2011