Questo metodo è diventato il riferimento, in particolare della Lega, che ne ha fatto il suo vessillo e del suo Segretario, oggi vice premier, che, di fatto, parafrasando Catone il Censore, ha trasformato il “Carthago delenda est” in un più moderno “Fornero delenda est”. Ma quello che è diventato lo stendardo è il numero “41” (nella Kabbalah o cabala il numero 41 è collegato alle persone con uno squilibrio spirituale) cioè gli anni di contribuzione per uscire dal lavoro. Però, anche per quest’anno, l’obiettivo è stato fallito. Ma anzi siamo caduti in un ginepraio di norme, sotto-norme, modifiche, ripensamenti che hanno ancora di più complicato un settore, quello della previdenza, che necessiterebbe di un programma serio e duraturo. Senza voler rivangare il recente passato, abbiamo avuto, per il 2019-2021 una costosa (12 miliardi di euro) Quota 100 – 62 anni d’età e 38 anni di contribuzione – di cui, però, hanno usufruito solamente 380 mila lavoratori rispetto ai 990 mila previsti. A seguire quota 102 – 64 anni d’età e 38 anni di contribuzione – stabilita dal Governo Draghi, con 8.000 uscite rispetto alle 16.000 previste. Poi quota 103 costata anche meno interessando una platea ridotta dalla precedente quota 100. E adesso viene fuori una quota 103 dimezzata. Doveva, infatti, chiamarsi quota 104! Una nuova condizione che consentirà il pensionamento ai lavoratori di 62 anni con almeno 41 anni di contributi. C’è però una penalizzazione, che probabilmente servirà come disincentivo per chi ha redditi più alti. L’assegno non potrà superare un valore pari a circa 5 volte la pensione minima, quindi non potrà essere superiore a circa 2800 euro, fino al compimento del 67° anno di età, ossia l’anno in cui si potrebbe, in ogni caso, comunque andare in pensione secondo la legge Fornero.
Ma quello che è stata un vera e propria vicenda kafkiana è il taglio, per fare cassa, delle pensioni dei dipendenti pubblici. In particolare per gli iscritti alle ex Casse del Tesoro, confluite prima nell’Inpdap, poi nell’Inps. Quindi, per i medici (Cps), gli infermieri (Cpdel), gli insegnanti d’asilo (Cpi), i dipendenti degli uffici giudiziari (Cpug), è stata prevista la modifica della loro tabella (A) previdenziale che, per gli anni retributivi, ha particolari vantaggi rispetto alla tabella (B) usata per i dipendenti privati. Una serie di scioperi, in specie del settore sanitario, ha obbligato il Governo a fare marcia indietro con un provvedimento che facendo acqua da tutte le parti, prevede ricorsi senza fine. Gli interessati possono mantenere l’assegno intatto se vanno in pensione di vecchiaia a 67 anni. Come aveva e ha previsto la “Fornero”! Ma se vanno per anzianità, resta la decurtazione che può arrivare e superare i 10 mila euro all’anno. Per i medici e gli infermieri, solo per loro, e non si capisce perché non per gli insegnanti d’asilo e i dipendenti degli uffici giudiziari, è stata poi prevista una “tutela” per chi vorrebbe andare in pensione anticipata. Un decalage che prevede che, con tre anni di lavoro in più, la riduzione si azzera. In sostanza per il personale sanitario si introduce una sorta di Quota 46 perché da 42 anni e 10 mesi bisogna arrivare a 45 anni e dieci mesi, senza considerare le finestre, anch’esse ampliate. Per parare il colpo viene consentito di restare in servizio fino a 70anni. Anzi si è fatta avanti la solita lobbie, poi stoppata ma pronta a richiederlo nel prossimo “Milleproroghe”, chiedendo per i medici la possibilità di restare a lavoro sino a 72 anni. Per carità di patria non approfondiamo le restrizioni previste, poi, per i lavoratori delle categorie fragili (disoccupati, caregiver, invalidi, attività gravose) che potranno accedere all’Ape (assegno ponte fino a 1.500 euro al mese fino al raggiungimento della pensione) a partire dall’età di 63 anni e 5 mesi e non più 63, e per le donne, che accederanno a Opzione donna, col restringimento della platea solo per caregiver, invalide, licenziate o dipendenti di aziende in crisi, a cui nel 2024, serviranno inoltre 61 anni d’età e non più 60.
Il susseguirsi di quote e di modifiche normative crea incertezza tra i lavoratori, visto che le regole sulla base delle quali prendere una delle scelte più importanti della propria vita, cioè quando andare in pensione, cambiano con troppa frequenza. Queste misure temporanee poi rischiano di alimentare un sentimento di iniquità tra coetanei. Le quote generano categorie di persone che accedono a vantaggi negati ad altri per il solo fatto di rientrare casualmente in determinati criteri. Tutto questo perché non si è voluto aprire il discorso sulla flessibilità in uscita che, con il sistema di calcolo contributivo della pensione, appare, come già più volte sottolineato dalla stessa professoressa Fornero, poter dare serenità a un settore che viene considerato solamente un bancomat e un terreno di scontro politico.
Il Sole 24 Ore sanita