L’annuncio di Matteo Renzi sul rinvio della flessibilità in tema di accesso alle pensioni fa scattare la reazione contrariata dei sindacati. Ieri sera, il premier ha spiegato a Che tempo che fa che il governo non intende affrontare nella Stabilità di prossima presentazione il tema della previdenza. “I numeri non sono chiari e dobbiamo rimandare tutto al 2016”, ha detto il premier. Parole che hanno compattato il fronte di Cgil, Cisl e Uil, unanimi nel commentare negativamente la novità.
Lo stesso presidente del Consiglio, per altro, via Facebook ha spiegato che proprio oggi inizierà in Consiglio dei Ministri la discussione sulla Legge di Stabilità, che verrà poi varata nella riunione di giovedì.
“E’ sbagliato rinviare la scelta” di intervenire sul sistema previdenziale introducendo maggiori flessibilità in uscita e “pensare che si tratti di qualche aggiustamento emergenziale per qualche categoria”, attacca la leader della Cgil, Susanna Camusso. “L’annuncio che non sono pronti è una narrazione dell’irrealtà”, aggiunge Camusso, sottolineando che il governo poteva “studiare di più”. Se l’intervento “si fa nel 2016 vuol dire che non si intende mettere risorse e quindi che si fa a costo zero, vale a dire a spese dei lavoratori che già hanno pagato un prezzo altissimo con la legge Monti-Fornero”. Quanto al tema degli esodati, “è oscuro se resterà il malloppo oppure no, sulla settima salvaguardia infatti il problema non è trovare risorse ma lasciare quelle che c’erano già”.
Di tono simile il commento del segretario confederale della Uil, Domenico Proietti: “E’ un gravissimo errore non affrontare nella legge di Stabilità il tema della flessibilità di accesso alla pensione. Si continuano a penalizzare i lavoratori ultrasessantaduenni e i giovani che vedono ancora bloccato il turn over nel mercato del lavoro”. “Nei mesi scorsi sulla necessità di rivedere la legge Fornero si è realizzato un vasto e diffuso consenso nel paese e tra tutti i gruppi parlamentari. Lo stesso presidente del Consiglio – aggiunge – aveva ripetutamente annunciato che questo sarebbe stato fatto con la legge di Stabilità. La Uil non si rassegna a derubricare questo tema e continuerà la mobilitazione in tutto il paese affinchè nel corso dell’iter parlamentare di approvazione della legge sia data una risposta positiva alle attese dei lavoratori e dei giovani”, conclude Proietti.
La prima ad accendere le polveri era stata la leader della Cisl, Annamaria Furlan, secondo la quale “non si può rinviare al 2016 la controriforma della riforma Fornero, abbiamo bisogno subito già nella legge di Stabilità di un segnale importante. Sarebbe una risposta per le imprese, per i giovani e per tutti i lavoratori”. Alla conferenza organizzativa della Cisl torinese, Furlan incalza: “Vogliamo capire se per il governo, che ha fatto tante ipotesi, ha chiuso e riaperto più volte, questa è una cosa seria o se sono solo annunci a seconda degli spot televisivi che poco interessano agli italiani
La flessibilità in uscita nelle pensioni resta fuori dalla legge di Stabilità: «I numeri non sono chiari e dobbiamo rimandare tutto al 2016». Sull’università, invece, Matteo Renzi vuole investire subito, nell’imminente legge di stabilità che giovedì sarà presentata in prima stesura e che si chiuderà prima delle ferie natalizie.
Ieri sera a Che tempo che fa , RaiTre, il presidente del Consiglio ha detto molte cose. Tra cui due su pensioni e alta istruzione. Sulle prime: «Modificare il sistema pensionistico è possibile solo sulla base di numeri chiari. Senza saggezza, senza numeri, si fa danno. Proporremo una soluzione solo quando tutto sarà chiaro. Non abbiamo ancora trovato la soluzione per consentire di andare in pensione un paio d’anni prima». Sulla seconda questione — l’università, che conoscerà nei prossimi mesi riforme mirate — Renzi ha svelato un progetto cui sta lavorando un consigliere economico di Palazzo Chigi e che prevede di portare in Italia 500 professori, italiani e stranieri: «Faremo un concorso nazionale, chi lo vincerà avrà la possibilità di attivare progetti di ricerca». Il concetto ispiratore è: i prof-ricercatori avranno il lavoro finanziato (oggi non è così), ma dovranno svilupparlo negli atenei italiani. «Sarà una misura ad hoc, un modo per attirare i cervelli. Diamo un gruzzolo per progetti da realizzare ».
L’università italiana è la seconda questione del sapere pubblico che il governo sta affrontando dopo aver chiuso con 3 miliardi e un conflitto acceso la partita della Buona scuola. Nella legge di stabilità, confermano alti dirigenti del Miur, dovrebbero entrare 600 milioni destinati alle “riforme mirate”. Trecentocinquanta milioni li ha chiesti il Pd per avviare un piano straordinario per l’assunzione di giovani ricercatori. L’idea è quella di creare subito un fondo certo in Stabilità per poi andare a discutere successivamente le modalità con cui utlizzarlo.
Il 23 ottobre si apre a Udine una due giorni di discussione sull’università organizzata dal Pd e la questione “ricerca e ricercatori” sarà architrave dell’intero convegno, da cui uscirà un progetto da trasformare in proposta di legge. «Il mondo della ricerca italiana è sottodimensionato rispetto ai pari grado dell’Unione europea», dice Francesca Puglisi, responsabile scuola e università del Pd, «noi proporremo non una maxi-stabilizzazione dei ricercatori, ma l’aumento dei ricercatori attivi e l’abbassamento della loro età». In Italia oggi sono 150 mila i ricercatori universitari contro, per esempio, i 510 mila in Germania.
La questione si va a innestare sul secondo punto di riforma di governo la semplificazione delle figure pre-ruolo, oggi schiacciate — spesso con contratti precari — tra il dottorato e la docenza. Gli assegnisti, i contratti a tempo determinato su progetti specifici e i ricercatori di tipo A e B dovrebbero confluire in un’unica figura a tutele crescenti. Per questa fase assunzionale il governo ha sempre parlato di Job acts universitari. Ci sarà un intervento concreto (con i 250 milioni rimanenti dopo l’investimento sui ricercatori) sul diritto allo studio. Sono peggiorati ancora i numeri degli aventi diritto a una borsa di studio che non possono usufruirne per mancanza di fondi. E su questo storico buco italiano si è inserita quest’anno la revisione dei parametri Isee che ha portato, secondo stime degli studenti di Link, al taglio di un altro 30 per cento di aventi diritto. Resta in piedi la questione di sottrarre l’università dal comparto pubblica amministrazione offrendo agli atenei un contratto unico e autonomia di budget (nel rispetto del pareggio di bilancio). La nuova legge vorrebbe cancellare una serie di vincoli costrittivi in particollare su missioni all’estero, spesa nella formazione del personale, centralizzazione delle spese.
Repubblica – 12 ottobre 2015