Anche alla luce della recente sentenza della Consulta, per quanto riguarda questo problema non sembra sostenibile sul piano costituzionale una soppressione della rivalutazione automatica al costo della vita sui trattamenti piu’ elevati.
Diverso, sicuramente più giusto ed opportuno sarebbe un provvedimento di carattere strutturale che rimodulasse al ribasso le aliquote di rivalutazione in rapporto alle fasce di reddito. Oggi, in condizioni normali, le aliquote sono tre: una del 100% dell’inflazione fino a 1400 euro mensili; un’altra del 90% per la fascia da 1400 a 2400 euro; oltre questa soglia opera l’aliquota del 75% sulle ulteriori quote di pensione. Basterebbe allora introdurre, magari per le fasce superiori a 5.000 euro un’aliquota più bassa, ad esempio del 50% e scendere ancora di più (al 30%) per la rivalutazione di fasce ancor più elevate. Oltre certi importi particolarmente alti, l’indicizzazione potrebbe anche essere abolita del tutto, ma opererebbe comunque sulle fasce più basse, in modo da rendere compatibile la misura rispetto al dettato costituzionale. L’altra misura potrebbe riguardare il calcolo dei rendimenti. Oggi, nel sistema retributivo, alla prima fascia di reddito, intorno a 50mila euro, ogni anno di versamenti produce un rendimento del 2% (perciò con 40 anni si riceve un trattamento pari all’80% della retribuzione pensionabile). Nella fasce di retribuzioni più elevate il rendimento decresce fino allo 0,90 % l’anno. Questa curva potrebbe essere rimodulata al ribasso per le quote più elevate. Queste misure sarebbero assolutamente in linea con la Costituzione, senza avventure e avrebbero un carattere strutturale. Relativamente al contributo di solidarietà va ribadito che le cosiddette pensioni d’oro non sono inique di per sé, se sorrette da contributi versati, ma lo diventano soltanto per effetto della conferita, eventualmente, dall’applicazione del sistema retributivo. Si potrebbe, allora, effettuare per i trattamenti in atto, liquidati con il modello retributivo e superiori ad un certo importo (5mila euro mensili lordi, in linea con l’intervento sulla rivalutazione), un ricalcolo secondo i criteri del sistema contributivo, operando, se del caso, una ritenuta congrua sullo scostamento tra i due differenti importi. Tale procedimento sarebbe tecnicamente possibile per le prestazioni dell’ Inps (l’Istituto detiene le posizioni contributive di tutti i lavoratori a partire dal 1974), mentre sorgerebbero dei problemi, non insormontabili, nel caso del pubblico impiego e soprattutto dei dipendenti dello Stato la cui Cassa è stata istituita nel 1995. Si potrebbe poi, alla buon ora, chiedere un contributo alle pensioni baby (sono 500mila per un onere annuo di 9,5 miliardi) da calcolare sulla differenza tra l’importo dell’assegno e quello del trattamento minimo.
Il Sole 24 Ore – 8 agosto 2013