Lega e Cinque Stelle tornano a litigare sulle pensioni d’oro. Il taglio del 40% annunciato giovedì dal vicepremier Luigi Di Maio lascia interdetti gli alleati leghisti. Bocche cucite, per ora. Ma lunedì — con la manovra in transito al Senato — si annuncia la resa dei conti.
Anche perché l’emendamento — frutto di un lungo compromesso — è pronto da tempo, con tanto di relazione tecnica: contributo di solidarietà biennale sugli assegni da 90 mila euro lordi in su, prelievo a scaglioni secondo 5 aliquote ( 8- 14- 16- 18- 20%), gettito da 130 milioni annui. Impostazione sin qui digerita dai pentastellati, dopo il flop del disegno di legge D’Uva- Molinari, spiaggiato in Parlamento dalla scorsa estate e ormai su un binario morto. Lì si prevedeva un finto ricalcolo contributivo e retroattivo, a forte rischio bocciatura della Corte Costituzionale. I leghisti hanno fatto muro. E si è arrivati al taglio temporaneo, ” in solidarietà” con le pensioni più basse.
L’annuncio di Di Maio fa saltare tutto. E si ricomincia a trattare. « Il taglio delle pensioni d’oro entrerà nella legge di Bilancio al Senato, la settimana prossima » , insiste il ministro del Lavoro. « Passiamo dal 25% al 40% » . Come questo si traduca in pratica non lo sa nessuno. Potrebbe raddoppiare l’ultima delle 5 aliquote ipotizzate: anziché il 20% si applicherebbe il 40% alla porzione degli assegni superiori al mezzo milione di euro. Per fare un esempio estremo, il taglio su una pensione da 550 mila euro passerebbe da 74 mila a 84 mila euro.
In realtà, i pensionati sopra i 90 mila euro lordi annui sono appena 45 mila. E pochissimi arrivano a quelle cifre stratosferiche. Poiché il taglio si applica solo sulla parte eccedente gli scaglioni (come avviene per l’Irpef e ferma restando la clausola di salvaguardia in base alla quale nessuno può scendere sotto i 90 mila euro), il sacrificio per chi prende 100 mila euro si traduce in 800 euro all’anno, 66 euro al mese. Si sale a 6 mila euro all’anno per una pensione di 150 mila euro. E a 21 mila euro su un assegno da 250 mila.
« Impossibile arrivare a tagliare il 40%, è contro tutte le sentenze della Consulta » , ragiona Alberto Brambilla, esperto previdenziale e consigliere del vicepremier leghista Salvini. « Bisogna usare moderazione su questo tema, anche perché il gettito massimo che si può ricavare inun biennio non supera i 250 milioni » . L’ostacolo costituzionale è dietro l’angolo. Molti pensionati “d’oro” sono pronti a impugnare la norma. Il presidente di Cida (dirigenti) Giorgio Ambrogioni si augura che « sia una fake news, altrimenti equivarrebbe a un invito a espatriare».
Ma è legittimo tagliare fino al 40%? « Le regole della Consulta su questo tema sono tre», spiega il giuslavorista Amos Andreoni. «La temporaneità del prelievo, la sua destinazione a una esclusiva funzione previdenziale, la non eccessiva onerosità». Insomma il taglio non deve essere permanente, non può tradursi in un salasso e il ricavato finalizzato alle pensioni basse. «Se il 40% rappresenta solo l’aliquota marginale massima, la Corte potrebbe giudicarla legittima. Ma certo bisogna vedere a quanto ammonta il prelievo complessivo sul totale della pensione».
Nell’esempio dei 550 mila euro si arriverebbe al 15% di prelievo complessivo. Un caso però davvero limite.
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