Enrico Marro. Il fondo di previdenza complementare che si trasforma in un potente mezzo di pensionamento anticipato, consentendo di lasciare il lavoro fino a 5 anni prima o addirittura 10 per chi è disoccupato da più di due anni. Un mezzo, inoltre, molto incentivato fiscalmente e, per chi può, vantaggioso rispetto all’Ape volontaria, l’anticipo di pensione: non solo perché con quest’ultimo il lavoro può essere lasciato al massimo 3 anni e 7 mesi prima dal raggiungimento della pensione di vecchiaia, ma anche perché il costo della Rita è inferiore a quello dell’Ape, che è un prestito fornito dalle banche e rimborsato con trattenute mensili sulla pensione per 20 anni. Lo si ricava dal vademecum messo a punto dalla Fondazione studi consulenti per il lavoro insieme con Mefop, la società del Tesoro per lo sviluppo della previdenza integrativa, sulla base della circolare Covip (commissione vigilanza sui fondi pensione), che ha regolato nei dettagli questo nuovo strumento di flessibilità pensionistica nato con la legge di Bilancio 2018.
Chi può chiedere la Rita
La Rita è accessibile a tutti i lavoratori dipendenti, compresi quelli pubblici, in due casi. 1) Cessazione del lavoro e distanza dalla pensione di vecchiaia non superiore a 5 anni. Bisogna quindi avere almeno 61 anni e 7 mesi, che diventeranno 62 dal primo gennaio 2019. Servono inoltre almeno 20 anni di contributi. 2) Inoccupazione da più di due anni e distanza dalla pensione di vecchiaia al massimo di 10 anni. Bisogna quindi avere almeno 56 anni e 7 mesi che saliranno a 57 dal 2019. In entrambi i casi servono anche 5 anni di partecipazione al fondo. La domanda andrà presentata agli stessi fondi non appena avranno disciplinato le procedure, e il lavoratore potrà decidere se utilizzare tutto o parte del montante, in rapporto alla rendita che vorrà (per esempio, mille euro al mese).
L’incentivo fiscale
La Rita gode di un regime fiscale agevolato. Subirà una ritenuta del 15%, con una riduzione dello 0,30% per ogni anno oltre il 15esimo di partecipazione al fondo, fino a un’aliquota minima del 9%. Inoltre, la Rita consente, «a differenza di altre forme di prestazione di previdenza complementare, di applicare l’aliquota dal 9 al 15% al montante selezionato per l’applicazione della Rita anche se riferito a periodi di accantonamento anteriori al 2007» dove invece, per il Tfr o per la previdenza complementare, scatta «la tassazione separata o ordinaria a partire dal 23%».
Serve un tesoretto
La Rita rappresenta quindi una novità dalle grandi potenzialità. Ma ha anche un limite importante: può essere utilizzata al meglio da chi ha accumulato nel fondo molti contributi, perché in questo caso il tesoretto può essere capiente per l’erogazione di una rendita anticipata per molti anni. Non a caso gli esempi contenuti nel vademecum ipotizzano un montante di 100 mila euro. Il testo considera però anche il caso di chi, pur non essendo mai stato iscritto a un fondo, lo faccia nel 2018 conferendo allo stesso anche il Tfr accantonato, in modo da costituirsi una provvista adeguata eventualmente a far fronte a processi di esodo dal lavoro attraverso la Rita appunto. È facile prevedere, tuttavia, che la Rita sarà utilizzata soprattutto dai lavoratori con alle spalle carriere robuste. Per arrivare a una diffusione più ampia bisognerà che prima cresca tutto il sistema della previdenza complementare.
Il Corriere della Sera – 27 marzo 2018