Il 2017 porta delle novità per le lavoratrici che hanno poco meno di sessant’anni e non vedono l’ora di andare in pensione. Con la legge di bilancio 2017, infatti, è stata ampliata la platea di chi può usufruire del cosiddetto regime sperimentale donna, opzione introdotta nel 2004 dalla Riforma Maroni e che consente di dire addio anticipatamente al posto di lavoro rinunciando a una quota dell’assegno mensile: in media del 30%, secondo Inca Cgil.
Anche le lavoratrici che hanno più di sessant’anni – che ne hanno compiuto 63 – possono ritirarsi prima di aver raggiunto il requisito pensionistico per effetto di un’altra novità introdotta dalla legge di bilancio; dal 1° maggio 2017 e fino al 31 dicembre 2018, infatti, entra a regime in via sperimentale il cosiddetto anticipo finanziario a garanzia pensionistica – Ape – cioè un prestito-ponte, corrisposto in quote mensili e per dodici mensilità, alla pensionanda e fino alla maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia; l’Ape, chance aperta non solo alle lavoratrici ma anche ai lavoratori, ha un costo: il debito contratto (il prestito) deve essere restituito a meno che non si rientri in alcune categorie di lavoratori svantaggiati per cui garantisce lo Stato, e chi accede volontariamente al ritiro prima del tempo avrà un costo di circa il 4,6-4,7% per ogni anno d’anticipo, secondo i calcoli del Sole 24 ore. Opzione donna. Fino al 2016 e secondo quanto previsto dalla legge n. 243 del 2004 (articolo 1, comma 9) potevano ricorrere alla pensione sperimentale le donne lavoratrici dipendenti che avevano compiuto 57 anni e tre mesi di età e con almeno 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2015, e le lavoratrici autonome di 58 anni e tre mesi di età con almeno 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2015. Erano dunque escluse le lavoratrici dipendenti nate nell’ultimo trimestre 1958 – ottobre/dicembre – e le autonome nate nell’ultimo trimestre 1957. Sul fronte delle cosiddette “finestre pensionistiche”, cioè il periodo tra la maturazione dei requisiti e il ricevimento effettivo della pensione, la prima data utile per poter ottenere il pagamento della pensione era prevista dopo dodici mesi dalla maturazione del diritto per chi è dipendente e dopo diciotto mesi per chi è autonoma. Ecco cosa cambia: per il lavoro dipendente basterà aver compiuto 57 anni e per quello autonomo 58; in entrambi i casi rimane il requisito dei 35 anni di contributi entro la fine del 2015. In altre parole, è stata ampliata (pur di poco) la platea delle donne che possono accede alla pensione sperimentale, completando il “millesimo”, visto che la chance arriva al capolinea. Dato che nel 2016 la speranza di vita è cresciuta da tre a sette mesi, c’è stata un’aggiunta alle “finestre”: e così per le dipendenti nate nell’ultimo trimestre 1958 la prima decorrenza utile della pensione sarà dopo diciannove mesi dalla maturazione dei requisiti; e le autonome nate tra ottobre e dicembre 1957 riceveranno l’assegno dopo 25 mesi. Età e contributi. Le lavoratrici del pubblico impiego conseguono la pensione di vecchiaia a 66 anni, sette mesi e almeno venti anni di contribuzione. Le lavoratrici del settore privato a 65 anni e sette mesi se dipendenti e a 66 anni e un mese se autonome. In alternativa, si può andare in pensione con il solo requisito contributivo pari – per le donne e per il triennio 2016/2018 – 41 anni e 10 mesi. L’Ape. Con la legge di bilancio 2017 è stata introdotta una nuova possibilità di uscita flessibile mediante l’anticipo pensionistico, l’Ape. Possono usufruirne le lavoratrici dipendendenti del pubblico e del privato e le autonome con 63 anni e a cui mancano tre anni e sette mesi per la pensione di vecchiaia; sono necessari almeno venti anni di contributi o trenta/trentasei nel caso in cui il prestito-ponte venga garantito dallo Stato (è l’opzione Ape sociale).
Il Centro – 2 febbraio 2017