di Maria Carla De Cesari. Dal dicembre 2011, dalle lacrime del ministro del Lavoro, Elsa Fornero, chiamata dal presidente del Consiglio, Mario Monti, a spiegare in Tv la riforma delle pensioni, sul sistema previdenziale gli interventi, anche se limitati, si sono susseguiti. Il primo correttivo, per cercare di evitare penalizzazioni troppo elevate a quanti si sono visti sfilare la prospettiva di andare in pensione di lì a qualche mese, è arrivato poche settimane dopo il decreto legge 201/2011. Da allora è stato un continuo, affannoso e, a tratti, disordinato, succedersi di norme per cercare di rispondere a quanti avevano perso il lavoro e avevano, fino alla riforma, la prospettiva di poter andare presto in pensione. Nello stesso tempo si è cercato di corrispondere alle “promesse” di quanti erano stati ammessi alla contribuzione volontaria per guadagnare il pensionamento entro un tempo definito, che era stato cancellato.
La riforma Fornero, approvata in un clima di emergenza, si regge su cinque pilastri:
1) metodo di calcolo contributivo per tutti, pro rata dal 1° gennaio 2012 (anche per coloro che avevano più di 18 anni di contributi al 1° gennaio 1996);
2) innalzamento dell’età della vecchiaia a 66 anni per gli uomini, così come per le donne del settore pubblico, assorbendo la vecchia attesa di 12 mesi dalla maturazione del requisito al pagamento dell’assegno;
3) aumento progressivo dell’età di pensionamento di vecchiaia per le donne del settore privato, sia dipendenti che autonome, in modo da arrivare nel 2018 all’età pensionabile uguale per tutti: nel 2021 il requisito non potrà essere inferiore a 67 anni;
4) introduzione della pensione anticipata, al posto dell’anzianità, con un progressivo ritocco dei contributi necessari e con cancellazione dell’attesa dalla maturazione dei requisiti alla percezione del trattamento;
5) inasprimento del meccanismo della speranza di vita, che in modo automatico adegua (all’insù) i requisiti contributivi e anagrafici per le prestazioni. Gli aggiustamenti in base alla speranza di vita sono triennali fino al 2019, da quella data gli “scatti” saranno biennali.
In generale, dunque, si assiste a una progressiva crescita dei requisiti per la pensione, tanto che viene premiato chi lavora anche oltre l’età “ordinaria” con la determinazione dei coefficienti per il calcolo della pensione fino ai 70 anni e con la salvaguardia dal recesso unilaterale da parte del datore di lavoro.
Si diceva che già all’indomani della riforma sono subito iniziate le sollecitazioni al cambiamento, per rendere le misure più flessibili e meno stringenti. Tra le tante proposte, l’opzione di andare in pensione prima di raggiungere i requisiti ordinari, con una penalizzazione nell’entità dell’assegno. Questa ipotesi è tuttora allo studio tanto che è stata rilanciata nei giorni scorsi dal Yoram Gutgeld, consigliere del presidente del Consiglio,Matteo Renzi.
Questa manovra, però, non sarebbe a costo zero. Infatti, anche se è stato generalizzato il sistema contributivo per il calcolo delle prestazioni – quindi i trattamenti sono commisurati ai contributi versati e all’età di pensionamento – l’ipotesi di consentire un accesso flessibile alla pensione richiede comunque lo stanziamento di risorse. Infatti, il sistema previdenziale obbligatorio è governato dal principio della ripartizione: i contributi versati dai lavoratori attivi servono per pagare le pensioni e non vengono effettivamente destinati al conto previdenziale individuale. Da qui, la necessità di copertura per una manovra che permetta di anticipare le uscite.
D’altra parte il sistema della previdenza è da sempre alla ricerca di equilibrio, in particolare finanziario. L’altra ipotesi ricorrente, in nome dell’equità, è il taglio delle prestazioni per le pensioni da un certo importo in su, sulla parte ancora calcolata con il metodo retributivo, che “valorizza” le retribuzioni di un certo numero di anni, quelle più favorevoli. In questo caso occorre fare i conti con il principio del pro rata, in base al quale viene “salvaguardato”, anche rispetto a riforme restrittive, quanto è stato maturato fino a quel momento.
Con la legge di stabilità si è adottato – sulle pensioni – un basso profilo con la scelta di cancellare, fino al 2017 compreso, le penalizzazioni sulla parte di pensione calcolata con il retributivo per gli assegni anticipati prima dei 62 anni di età, non interamente frutto di contributi da lavoro. L’altra modifica riguarda la possibilità di porre un limite alle mega-pensioni risultanti dal calcolo contributivo pro rata. Ora nel puzzle della riforma possibile c’è anche la decisione della Corte costituzionale, chiamata a esprimersi sulla richiesta di referendum sulla legge Fornero.
Servirà ancora qualche giorno per sapere se la riforma delle pensioni del 2011 potrà essere messa in discussione per via referendaria. La Corte Costituzionale, che doveva pronunciarsi ieri sull’ammissibilità del quesito abrogativo presentato dalla Lega Nord, ha rinviato la propria decisione a martedì prossimo, 20 gennaio, alle 20.30. In questo modo la Consulta è venuta incontro alle richieste della stessa Lega ed in particolare di Roberto Calderoli, uno dei promotori dell’iniziativa referendaria
Il Sole 24 Ore – 15 gennaio 2015