La Stampa- Chi l’avrebbe mai detto, che una maggioranza arrivata al successo elettorale anche perché prometteva di più sulle pensioni, annunci ora che alle pensioni darà di meno? L’affanno con cui si è cambiato rotta rende difficile giustificare misure da cui non emerge una visione di insieme su che cosa davvero si chieda ai cittadini e su perché lo si faccia.
Sia chiaro che la spesa previdenziale è in Italia troppo alta e va contenuta. Ai livelli attuali, fa sì che gli anziani sottraggano risorse ai giovani. Per anni, nel passato, si erano erogate pensioni in ampia eccedenza rispetto ai contributi pagati durante la vita lavorativa. Con le riforme dal 1995 in poi il divario si è ridotto o annullato, ma soprattutto a carico dei trattamenti concessi in tempi più recenti.
Forze politiche che finora hanno negato che il sistema andasse riequilibrato ora, poste di fronte alla necessità di limitare le spese, intervengono un po’ di qua e un po’ di là, sballottate fra i suggerimenti numerici dei tecnici del Tesoro e le sensibilità della politica, nella quale spesso appaiono grandi le cose piccole e piccole le grandi, a seconda degli slogan che ci si possono costruire sopra.
In astratto, non sono assurde le modifiche al calcolo delle pensioni di alcune categorie di dipendenti pubblici. Rimediano a mancanze di coraggio nelle riforme degli anni ’90. Ma, a distanza di quasi trent’anni, i lavoratori ora vicini a ritirarsi hanno motivi per sentirsi all’improvviso defraudati. Su delicate, e complicate, questioni simili si è dovuta pronunciare in passato la Corte Costituzionale.
Quanto all’età di pensione, da più di dieci anni la propaganda politica attizza il desiderio di lasciare presto l’impiego (comprensibile in chi svolge mansioni faticose o poco interessanti) senza porsi il problema di chi ne pagherà i costi; costi che salgono poiché, grazie ai progressi della medicina, la durata media della vita si è allungata (salvo che negli Usa, ma questo è un altro discorso).
Anche qui, un ricalcolo con penalizzazioni per chi lascia il lavoro prima non appare assurdo. Ma lo si farebbe per equità verso gli altri lavoratori o solo per scoraggiare l’uscita? E come mai fin qua si sono concesse norme più favorevoli, trascurandone il costo? L’importante è parlar chiaro, senza nascondere che i soldi sono pochi e che bisogna soppesare bene le esigenze degli uni e degli altri.
Inoltre, si cerca di non far notare che le pensioni medio-alte hanno subito una notevole perdita di potere d’acquisto nel 2023 e ne subiranno un’altra nel 2024, a causa di un solo parziale adeguamento all’inflazione. È una misura che in passato sarebbe stata attaccata con ferocia perché “di sinistra”: si abbia il coraggio di dichiararne le ragioni, magari definendola di “destra sociale”.
Un governo che è riuscito a prendere posizioni chiare sull’Ucraina e sul Medio Oriente, nella politica interna si trova bloccato da una manovra di bilancio che ancora fatica a prendere forma (dove colpiranno i tagli di spesa?). L’ambizioso obiettivo massimo, l’inemendabilità del testo in Parlamento, sogno che aleggia da mezzo secolo nelle stanze del Tesoro, resta fuori portata.
Su tutta la questione previdenziale pesa la mancanza di un progetto. Da undici anni i partiti oggi al governo, e non solo loro, insistono che la legge Fornero del 2012 va cancellata o completamente contraddetta, senza mai spiegare in quale altro modo si può garantire che non si spenda troppo e che non si facciano favori a una fascia di età o a una categoria piuttosto che a un’altra.
Risultò impopolare all’inizio la legge Fornero, perché le condizioni disperate della finanza pubblica (dopo il quasi crac del novembre 2011) imposero di attuarla in modo troppo brusco, con un sacrificio pesante per alcune fasce di età. Ma ormai è scontato che resterà; casomai va applicata meglio, nel senso che i trattamenti di pensione devono essere per ciascuno commisurati ai contributi versati.
Piuttosto, occorre guardare avanti. I contributi che oggi pagano molti lavoratori precari potranno risultare insufficienti a maturare, quando sarà il momento, pensioni dignitose, Ma il problema non sta nel metodo di calcolo, che in sé è abbastanza equo: sta nei salari troppo bassi, se non addirittura nell’evasione dei contributi. A questo sì sarebbe bene pensare per tempo. —
STEFANO LEPRI