Marco Rogari, Il Sole 24 Ore. Ceto medio e percettori di pensioni di importo elevato. Ecco chi è più colpito dalla stretta imposta dal nuovo schema di rivalutazione delle pensioni, introdotto dal testo della manovra-Meloni attualmente all’esame della Camera. Che premia invece i beneficiari di trattamenti al minimo. A denunciarlo è la Cida, la rappresentanza sindacale per la dirigenza e le alte professionalità dei settori pubblico e privato. Che ha dato il suo sostegno a un report dell’ultimo Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrare realizzato dal Centro studi e ricerche “Itinerari previdenziali” dal quale emerge che circa 1,8 milioni di pensionati, dopo aver versato tasse e contributi, rischiano di perdere dai 13mila ai 115mila euro in 10 anni per effetto della mancata indicizzazione.
«Lungi dal valorizzare il merito, anche il nuovo esecutivo sceglie di trovare risorse attingendo, in modo iniquo, alle rendite previdenziali di importo medio e medio-alto», afferma la Cida. E per questo motivo ieri più di 50mila pensionati aderenti a tutte le Federazioni della Confederazione dei dirigenti hanno dato vita ad una mobilitazione “online” per dire «no a una manovra iniqua, che continua a pesare su chi ha già dato molto e vuole che si ristabilisca un rapporto di fiducia e rispetto con lo Stato». Una mobilitazione arrivata nella stessa giornata in cui alla Camera la maggioranza continuava a trattare con il governo nel tentativo di fare passare una proposta targata Cisl che ha come obiettivo quello di garantire la perequazione piena degli assegni pensionistici fino a 5 volte il minimo (circa 2.625 euro mensili) e non solo a quelli fino a 4 volte il minimo (circa 2.100 euro) come stabilito dall’attuale versione del Ddl di bilancio.
Lo stesso studio presentato dalla Cida evidenzia che il nuovo schema di rivalutazione degli assegni previsto dalla manovra per il 2023 si tradurrà «per i pensionati con trattamenti sopra i 2.500 euro lordi (meno di 2.000 euro il netto) in una perdita a 10 anni dai 13mila euro in su». Un valore – sottolinea la Confederazione dei dirigenti – «destinato a salire progressivamente fino ai 115mila euro per i percettori di assegni oltre i 10mila euro lordi (6.000 circa il netto)».
Misure che, secondo il presidente della Cida, Stefano Cuzzilla, «danneggiano ulteriormente chi oggi ha una pensione che è il frutto di anni di lavoro e contribuzione. In un contesto di inflazione a due cifre, che non fa distinzioni, le penalizzazioni sui pensionati – aggiunge – non sono più sostenibili». La strada da percorrere è quella della «chiarezza sui conti» e della separazione della previdenza dall’assistenza. A sottolinearlo è anche il presidente di Itinerari previdenziali, Alberto Brambilla: «Stiamo assistendo a una deformazione del sistema previdenziale che trasferisce risorse dalle pensioni all’assistenza, con il risultato di penalizzare quella fascia di pensionati che hanno dichiarato redditi pari o superiori a 35mila euro e versato contributi e imposte pari a oltre il 60% dell’Irpef totale».