Anticipare il pensionamento sarà indolore per chi è costretto a subirlo. Gli altri avranno tagli del 3-4% annuo, compensabili con finanziamenti bancari. La misura più onerosa: l’aumento di 80 euro alle minime. Il “cantiere pensioni” si divide in quattro: introduzione della flessibilità in uscita, aumento dei trattamenti minimi, lavori usuranti e fondi previdenziali integrativi. Ma non è affatto detto che per tutti i capitoli si trovi una soluzione nella prossima legge di stabilità. Se è ormai scontato che dal 2017 si potrà lasciare il lavoro con almeno 63 anni (tre anni prima rispetto a quanto stabilisce la legge Fornero approvata nel 2011), più difficile — per l’effetto pesante che avrebbe sui conti pubblici — che arrivi un incremento generalizzato delle pensioni minime attraverso, per esempio, l’estensione del bonus di 80 euro. Complicata — sempre per ragioni di compatibilità economiche — anche l’operazione di aggiornamento della lista degli impieghi usuranti che consentono di lasciare prima il lavoro.
Potrebbe andare in porto, invece, la riduzione di qualche punto dell’attuale aliquota del 20 per cento che pesa sui fondi complementari e che potrebbe favorire il ricorso di un maggior numero di lavoratori, soprattutto quelli più giovani, alla seconda pensione.
Quello sulla flessibilità in uscita è il dossier più avanzato. I tecnici di Palazzo Chigi sono ormai a buon punto. Il governo puntava già a introdurla quest’anno, poi ci ha rinunciato perché i costi sarebbero stati incompatibili con i vincoli europei: dai 5 ai 7 miliardi di euro, a seconda delle soluzioni tecniche, che avrebbero fatto schizzare all’insù il deficit. Si è scelta allora un’altra strada che avrà un impatto decisamente minore sulle finanze pubbliche (tra gli 800 milioni e il miliardo, stando alle prime stime) e coinvolgerà il sistema bancario e quello assicurativo. Si potrà andare in pensione prima con un prestito pensionistico erogato dalle banche o dalle assicurazioni. Nel 2017 potranno usufruirne i lavoratori nati tra il 1951 il 1953, che sono la coorte maggiormente penalizzata (fino a cinque anni in più di lavoro) dall’innalzamento dell’età pensionabile previsto dalla legge Fornero. La misura sarà strutturale e dunque via via interesserà le altre classi di età.
Per un massimo di tre anni l’assegno (potrebbe non essere integrale e raggiungere, per esempio, il 70 per cento) sarà anticipato dalla banca o dall’assicurazione, il lavoratore si impegnerà a restituirlo a rate (negoziabili) una volta compiuta l’età pensionabile. Ci sarà però una penalizzazione, tra il 3 e il 4 per cento all’anno, in relazione agli anni di anticipo ma anche al reddito. Il prestito, in sostanza, sarà personalizzato. Tre le tipologie prese finora in considerazione: i lavoratori che perdono il lavoro ma non hanno ancora i requisiti per il pensionamento (più o meno come gli esodati), i lavoratori che volontariamente scelgono di anticipare il pensionamento, i lavoratori che vengono pensionati dalle aziende per ragioni di ristrutturazione. Nel primo caso — secondo le ipotesi al vaglio dei tecnici — il costo degli interessi del prestito verrebbe sostenuto dallo Stato, nel secondo direttamente dal lavoratore, nel terzo, infine, dall’impresa che sceglie lo svecchiamento di parte della sua forza lavoro.
La penalizzazione sull’importo dipenderà dagli anni dell’anticipo e dal reddito, più basso sarà, più bassa la penalizzazione. Ovviamente sarà intaccata la parte dell’assegno ancora calcolata con il metodo retributivo mentre quella contributiva risentirà automaticamente del minor numero di versamenti.
La soluzione per chi svolge un’attività particolarmente faticosa, dagli edili alle maestre d’asilo, potrebbe essere implicitamente trovata all’interno della flessibilità associata al prestito bancario. Anche perché la maggior parte di questi lavoratori si trova nella fascia di reddito basso, la meno penalizzata dall’eventuale anticipo pensionistico. L’elenco dei lavori usuranti, che permettono di anticipare la pensione, è infatti fermo da molti anni e non si mai riusciti ad aggiornarlo anche in questo caso per gli effetti sui conti pubblici.
Renzi ha ribadito ieri che si sta studiando l’aumento dei trattamenti pensionistici minimi. I tecnici del governo, tuttavia, ritengono assai difficile raggiungere l’obiettivo. Ci vorrebbero non meno di 2-3 miliardi di euro. Tanto. Comunque l’ipotesi è sui tavoli tecnici: estensione ai pensionati del bonus di 80 euro, finora dato solo ai dipendenti con un reddito fino a 26 mila euro annui. Per il 2016 il trattamento minimo è di 501,80 euro e interessa oltre tre milioni di pensionati.
Infine si sta ragionando sulla diminuzione di 3-4 punti dell’aliquota fiscale sui rendimenti dei fondi pensione integrativi attualmente fissata al 20 per cento. Una riduzione finalizzata ad incentivare l’adesione ai fondi complementari.
Repubblica – 25 maggio 2016