L’importo medio della pensione dei dirigenti italiani è circa quattro volte quello dell’assegno dei lavoratori dipendenti, 50 mila euro l’anno contro 12 mila. Per pagare le pensioni dei dirigenti, però, l’Inps deve andare a prendere le risorse dal Fondo lavoratori dipendenti o degli atipici perché quello speciale dei dirigenti ex Inpdai è perennemente in rosso, dai 3 ai 4 miliardi negli ultimi anni.
È uno dei paradossi del sistema previdenziale documentato dalla seconda puntata dell’operazione trasparenza avviata dall’Inps con la gestione di Tito Boeri. Dopo aver sottoposto ai raggi X il Fondo volo con i privilegi dei piloti in cassa integrazione dorata da oltre 10 mila euro al mese, l’Istituto di Via Ciro il Grande ha preso in esame l’ex Fondo Inpdai e ha stimato che se le pensioni dei dirigenti venissero ricalcolate con il metodo contributivo (attualmente in vigore per tutti, nella forma pro rata) anziché con i criteri favorevoli di alcuni decenni fa, gli importi scenderebbero in media di oltre il 23 per cento.
È un altro tassello dell’Italia dei privilegi pensionistici che solo le ultime riforme hanno cominciato a ricomporre a unità. Anche dal punto di vista dell’età per l’accesso alla pensione. Tanto (è di ieri la relativa circolare dell’Inps) che dal primo gennaio del 2016 l’età pensionabile arriverà per gli uomini a 66 anni e sette mesi (65 e sette mesi, per le donne), quattro mesi più del requisito ora in vigore. L’aumento dell’età di quiescenza non è altro che l’applicazione automatica di un codicillo introdotto nel 2010 dal governo Berlusconi che lega l’età pensionabile all’incremento delle aspettative di vita. In sostanza più invecchia la popolazione più a lungo si deve lavorare per mantenere in equilibrio finanziario il sistema previdenziale. Con il rischio, tuttavia, di rinviare sine die l’occupazione dei più giovani. Proprio per questo è possibile che con la prossima legge di Stabilità il governo introduca elementi di flessibilità per l’accesso al pensionamento prevedendo penalizzazioni per chi decidesse di lasciare prima il lavoro. E ieri il presidente Boeri ha detto che «a giugno l’Inps farà una proposta per una maggiore flessibilità nell’accesso alla pensione».
Certo non torneranno i trattamenti favorevoli che nel 2002 hanno condotto al default dell’Inpdai e, l’anno successivo, alla sua incorporazione all’interno dell’Inps. I dirigenti, infatti, hanno potuto andare in pensione pagando fino al 1996 un’aliquota contributiva inferiore a quella dei lavoratori dipendenti (del 25,35 per cento contro il 32,70 per cento); oppure ottenendo un assegno pensionistico pari all’80% dell’ultima retribuzione con 30 anni di contributi anziché 40 come gli altri lavoratori. E l’Inps, come detto, ha ricalcolato le pensioni attualmente in essere dei dirigenti con il metodo contributivo, questa peraltro è una vecchia proposta proprio di Boeri. Così un dirigente andato in pensione a 58 anni nel 1990 con un assegno di 3.585 euro, nel 2015 ha ottenuto una prestazione di circa 1.521 euro lordi al mese più alta di quella che avrebbe ottenuto con le regole contributive. Mentre un dirigente andato in pensione a 63 anni nel 2013 si vedrebbe ridurre l’importo di 676 euro al mese.
Repubblica – 21 marzo 2015