Today, Il punto sulle pensioni: cosa succederà l’anno prossimo? Chi potrà davvero godersi il meritato riposo? I sindacati chiedono flessibilità in uscita più diffusa a partire dai 62 anni di età o con 41 anni di contributi a prescindere dall’età. Quota 102 resta sul tavolo del confronto, così come la pensione in due quote spinta da Tridico (Inps) e la Quota mamma. Ma scongiurare lo scalone non sarà affar semplice
“Aprire il prima possibile un tavolo per il superamento della legge Fornero” a partire dal 2022. Lo chiedono Cgil, Cisl, Uil che hanno inviato al ministro del Lavoro, Andrea Orlando, la piattaforma unitaria sulla previdenza. I sindacati ricordano, in una nota, le loro proposte: “Occorre introdurre una flessibilità in uscita più diffusa a partire dai 62 anni di età o con 41 anni di contributi a prescindere dall’età, che tenga conto della diversa gravosità dei lavori, del lavoro di cura e delle donne, e affrontare subito il tema delle future pensioni dei giovani, che rischiano di essere penalizzate dalla discontinuità del lavoro”.
“È poi necessario – aggiungono i sindacati – sostenere il reddito dei pensionati e rilanciare la previdenza complementare varando una campagna istituzionale di informazione che sia coniugata ad un nuovo semestre di adesione in silenzio assenso”. Su questi punti, si legge infine nella nota delle parti sociali, “chiediamo si apra il prima possibile un confronto che possa trovare le giuste soluzioni anche legate alla situazione emergenziale che il Paese sta vivendo”.
Pensioni: che cosa succede il 31 dicembre 2021
L’unica certezza per ora è relativa a una data: il 31 dicembre “scade” Quota 100, che consente di anticipare la pensione a 62 anni di età con 38 di contributi fino al 31 dicembre 2021, dal primo gennaio si tornerebbe alle regole di prima e quindi allo “scalone” di cinque anni di età. Di colpo il pensionamento sarebbe accessibile solo a partire dai 67 anni di età. Lo scalone è un problema vero, da affrontare quanto prima. Facciamo un esempio lampante. Alla fine del 2021, senza un’eventuale armonizzazione, per gli esclusi ci sarà un aumento secco di cinque o sei anni dei requisiti di pensionamento.
L’esempio classico è il seguente: Ivano e Giuseppe hanno lavorato 38 anni nella stessa azienda solo che il primo è nato nel dicembre del 1959 e il secondo nel gennaio del 1960. Ivano andrà in pensione (se lo vorrà) a 62 anni, mentre Giuseppe dovrà optare tra un pensionamento anticipato con 42 anni e 10 mesi nel 2026 o il pensionamento di vecchiaia con 67 anni e nove mesi, addirittura nel 2029. Insomma così non va, è evidente. Uno scalone del genere andrebbe persino oltre quello della vecchia riforma Maroni (legge 243/2004), quando fu introdotta una differenza di tre anni lavorativi tra chi avrebbe maturato il diritto alla pensione il 31 dicembre del 2007 e chi lo avrebbe fatto il primo gennaio del 2008. All’epoca per evitare che a circa 130mila lavoratori venisse impedito di andare in pensione subito si fece la riforma Damiano, con un aumento della spesa pensionistica spaventosa, circa 65 miliardi, nel decennio dopo.
Nonostante in passato se ne fosse parlato, è completamente da escludere – lo ribadiscono tutti (governo, parti sociali, Inps) una mini-proroga di Quota 100, anche se fosse solo per i primi mesi del 2022. Il governo Draghi aprirà a brevissimo tavoli di confronto con i sindacati e tutte le parti sociali alla ricerca di soluzioni ragionevoli. C’è una grossa differenza rispetto a quanto avvenne all’epoca del governo Monti-Fornero, 10 anni fa. Infatti il governo Draghi, anche se a debito, dovrebbe avere quelle risorse che permetteranno di addolcire gli spigoli delle trattative. Lo spazio è stretto, perché l’Europa chiede chiaramente, nero su bianco, e non da oggi all’Italia di “attuare pienamente le passate riforme pensionistiche al fine di ridurre il peso delle pensioni nella spesa pubblica”.
Quota 102 dal 1 gennaio 2022: cosa cambierebbe
Che cosa succederà dunque il 31 dicembre (o meglio, prima del 31 dicembre, visto che aziende e lavoratori hanno il diritto di fare un minimo di programmazione)? Sulle pensioni oggi non abbiamo certezze. L’ipotesi che convince meno ma che sarebbe più semplice da implementare è Quota 102. In tanti chiedono regole semplici e valide per tutti, giovani e anziani, retributivi, misti e contributivi puri. Per questo, se saranno mantenuti identici i requisiti per la pensione di vecchiaia con 67 anni di età adeguata alla aspettativa di vita e almeno 20 di contribuzione, l’ipotesi di Quota 102 per andare in pensione prima sarebbe fattibile con:
- 64 anni di età anagrafica (indicizzata alla aspettativa di vita);
- 38 anni di contributi di cui non più di 2 anni figurativi (esclusi dal computo maternità, servizio militare, riscatti volontari).
Rimarrebbe poi da stabilire con la massima chiarezza il taglio dell’assegno che verrebbe incassato fino alla naturale scadenza fissata a 67 anni. Seguendo la stessa logica, la pensione anticipata dovrebbe essere resa stabile con 42 anni e 10 mesi per gli uomini (1 anno in meno per le donne), svincolata dalla aspettativa di vita e togliendo qualsiasi divieto di cumulo tra lavoro e pensione e prevedendo altresì agevolazioni per le donne madri (ad esempio 8 mesi ogni figlio fino a massimo 24 mesi), per i caregiver (un anno) e per i lavoratori precoci (maggiorando del 25% gli anni lavorati tra i 17 e i 19 anni di età). L’ipotesi Quota 102 viene ritenuta inaccettabile dai sindacati: troppo penalizzante.
Piace invece ai sindacati l’ipotesi Quota 92 ma solo per i lavori usuranti, rilanciata nei mesi scorsi da più parti. Nel dettaglio verrebbero abbassati di molto, in questo modo, gli anni di contribuzione tenendo conto delle difficoltà del mercato del lavoro e consentendo di uscire a 62 anni con 30 anni di contributi.
Scadono a fine 2021 anche Opzione donna con cui le lavoratrici possono uscire dal mondo del lavoro a 35 anni netti di contribuzione e 58 anni di età anagrafica, per le subordinate, 59 anni per le lavoratrici autonome e l’Ape sociale, sussidio erogato in attesa del raggiungimento dell’età pensionabile rivolto ai contribuenti di entrambi i sessi che hanno compiuto 63 anni e con 30-36 anni di contributi versati. Non si vede un motivo valido per cui non dovrebbero essere rinnovate.
Resta sullo sfondo per ora Quota 41, l’ipotesi più apprezzata dalle paerti sociali, che prevederebbe la possibilità di pensionamento una volta raggiunti i 41 anni di contributi, per tutti i tipi di lavori. Piace poco ai lavoratori l’idea (che al momento resta tale, con qualsiasi “Quota”) di un ricalcolo basato sulla proporzione tra coefficiente della pensione a 67 anni e coefficiente di uscita a 63 o 64 anni. Con coinvolgimento degli anni di versamento contributivo precedenti al 1996 e alla Riforma Dini. Cosa che avrebbe importanti benefici sulle casse Inps, e pochi invece sulle teste di chi dopo aver lavorato tanti anni avrebbe diritto a godersi la pensione per cui ha versato per decenni i contributi.
Il premier Mario Draghi sa bene che il tema pensioni è una priorità già nel primo giro di consultazioni che lo avevano poi portato a sciogliere la riserva il premier aveva indicato una tappa sicura nella rotta da seguire: il superamento di Quota 100, come aveva rivelato il capogruppo del Carroccio a Montecitorio, Riccardo Molinari. Il tema è in cima all’agenda di Draghi: l’impatto del ritorno secco dai pensionamenti agevolati voluti dal “Conte 1” allo schema della legge del 2011 sarebbe troppo pesante. E almeno su questo, anche in parlamento il consenso è ampio.
Pensioni da 62-63 anni con la quota contributiva: l’ipotesi regge?
Nelle scorse settimane il presidente dell’Inps Pasquale Tridico, a proposito dello spostamento dal 2022 dell’uscita da 62 a 67 anni, osservava come “non è corretto portare sempre il discorso sullo scalone. Dopo Quota 100 non c’è la fine del mondo, ci sono diverse misure di flessibilità da ampliare: l’Ape sociale, i precoci, gli usuranti”. Il presidente Tridico in pratica, come vi abbiamo già raccontato, ha in tasca una proposta che ha una sua logica. Uno spunto messo sul tavolo del lungo dibattito che ci si appresta a iniziare. La proposta di Tridico è quella di andare in pensione dai 62-63 anni solo con la quota che si è maturata dal punto di vista contributivo. Il lavoratore uscirebbe dunque con l’assegno calcolato con il contributivo e aspetterebbe i 67 anni per ottenere l’altra quota, che è quella retributiva. Parallelamente sarebbero confermati o introdotti in caso di necessità strumenti ad hoc per tutelare i fragili, come gli oncologici e gli immunodepressi, che nella fase post Covid devono poter andare in pensione prima”.
Trovare una convergenza tra governo, Inps e parti sociali non è semplice. I sindacati non si smuovono, lo hanno ribadito nelle scorse ore, da due numeri: ovvero la possibilità di andare in pensione a 62 anni a prescindere dai contributi. Ma per le sigle sindacali ritengono che anche quando un lavoratore arriva a 41 anni di contributi, a prescindere dall’età, deve avere la possibilità di andare in pensione. La proposta dei sindacati di fatto è quasi esclusivamente incentrata sulla flessibilità, lasciando i lavoratori liberi di decidere quando è il momento giusto per godersi il meritato riposo.
“Se pagassimo subito tutta la pensione, indipendentemente dai contributi, a 62-63 anni, verrebbe meno la sostenibilità finanziaria – avverte Tridico – La mia è una proposta aperta ad altri innesti, che il ministro Orlando sta valutando, come la staffetta generazionale o le uscite parziali con il part-time. Ma non possiamo tornare indietro rispetto al modello contributivo. Il sistema previdenziale italiano è stato scolpito da due grandi riforme: la Dini del ’95 e la Fornero nel 2011. È quello il nostro impianto ed è proprio qui dentro che dobbiamo incrementare i livelli di flessibilità, tenendo presente che abbiamo bisogno di equità e sostenibilità”.
Pensioni con Quota mamma: 12 mesi per ogni figlio
C’è anche chi chiede di riconoscere 12 mesi per figlio per anticipare l’età della pensione. E’ la proposta lanciata dal segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra: “Secondo noi sarebbe necessario almeno un ulteriore intervento dedicato alle donne con figli: il riconoscimento di 12 mesi per figlio per anticipare l’età della pensione oppure a scelta della lavoratrice incrementare il coefficiente di calcolo della pensione”, ha affermato in una nota. A Mara Carfagna, ministro per il Sud e la Coesione territoriale, l’idea non dispiace. “La maternità è (anche) un lavoro da riconoscere: apprezzo l’idea dei sindacati di dare alle donne un anno di sconto sull’età pensionabile per ogni figlio. E’ la proposta di legge su ‘Quota mamma’ che presentai nel 2020, è arrivato il momento di discuterne sul serio”, ha spiegato.
Non è pensabile né accettabile imporre dal primo gennaio 2022 lo scalone di 5 anni: questa è il primo elemento su cui tutti, ma davvero tutti, concordano. Il secondo è che sarà un autunno caldo sul fronte pensioni: non si giungerà a una sintesi prima della fine dell’estate.
Fonte: https://www.today.it/economia/pensioni-oggi-ultime-notizie-2022.html