Il quadro L’indicizzazione riparte ma è parziale sui trattamenti superiori a tre volte il minimo Inps. Oltre mille euro in meno all’anno per chi ha una pensione di poco superiore a tre volte il minimo. Anche se dal 2014 riparte l’indicizzazione dell’assegno previdenziale, nei prossimi tre anni gli importi saranno comunque più leggeri rispetto alla normativa in vigore prima del blocco temporaneo introdotto dal decreto salva Italia di fine 2011.
Nelle scorse settimane, in occasione della messa a punto della legge di stabilità, si è molto discusso sulle aliquote di rivalutazione. Nel passaggio tra la prima votazione, avvenuta al Senato, e la seconda alla Camera, c’è stato anche un ulteriore intervento che, in particolare, ha innalzato dal 90 al 95% l’aliquota di rivalutazione per gli importi mensili lordi compresi tra 1.486,29 e 1.981,72 euro. Un ritocco che riguarda poco meno di 2,5 milioni di pensionati. Alla prova dei fatti, però, complice anche il tasso di rivalutazione fissato nell’1,2% per il 2014, gli incrementi per il prossimo anno saranno contenuti (si veda anche «Il Sole 24 Ore» di ieri).
L’indicizzazione piena dell’1,2% si applica, infatti, agli 11,5 milioni di pensionati che incassano un assegno di importo fino a tre volte il minimo. Per quelli nella fascia tra tre e quattro volte il minimo (altri 2,5 milioni di persone), la rivalutazione effettiva sarà dell’1,14 per cento; tra quattro e cinque volte il minimo si scende allo 0,9 per cento; tra cinque e sei volte non si va oltre lo 0,6 per cento.
Ciò significa, per esempio, che chi ora incassa un assegno di 1.600 euro lordi, nel 2014 riceverà 1.618,24 euro, cioè 237,12 euro in più in un anno, tredicesima compresa. Chi, con un assegno attuale di 1.486,29 euro beneficia di una rivalutazione piena, l’anno prossimo avrà un aumento complessivo di 231,92 euro.
Ben più consistente, e non recuperabile, è invece il taglio che le pensioni subiranno nei prossimi anni rispetto alla normativa in vigore prima della riforma previdenziale e del blocco dell’indicizzazione attuato nel biennio 2012-2013. Le tabelle pubblicate a fianco mettono in evidenza che chi percepisce oggi 1.600 euro lordi, nel 2016 incasserà complessivamente 1.077,83 euro in meno di quanto previsto con le vecchie regole. Un taglio che cresce in valore assoluto con l’incremento degli importi dell’assegno. A fronte di un mensile di 2.100 euro attuali, la perdita nel 2016 sarà di 1.648,79 euro all’anno, mentre chi incassa 3.100 euro dovrà rinunciare 2.345,59 euro. Indenni dall’alleggerimento dell’assegno sono solo i trattamenti di importo fino a tre volte il minimo: i 1.486,29 euro odierni, per esempio, dovrebbero diventare 1.549,59 euro nel 2016, ipotizzando un tasso di rivalutazione dell’1,5% nel 2015 e nel 2016.
Andando oltre gli effetti della legge di stabilità, chi vuole andare in pensione l’anno prossimo deve tener presente anche alcuni adeguamenti dei requisiti, conseguenza della riforma previdenziale Monti-Fornero del 2011. Da gennaio, dipendenti e autonomi che vogliono accedere alla pensione anticipata dovranno lavorare un mese in più rispetto a quest’anno, per arrivare a 42 anni e sei mesi di contributi se uomini e 41 anni e sei mesi se donne. Ritocco verso l’alto anche per i minimi anagrafici richiesti alle donne del comparto privato che scelgono la pensione di vecchiaia: serviranno 63 anni e nove mesi di età per le dipendenti e 64 anni e 9 mesi per le autonome. Negli esempi è stata calcolata la rivalutazione delle pensioni in base a tre ipotesi: secondo la normativa ante riforma Monti-Fornero, ipotizzando una conferma (che non c’è stata) delle regole previste dal Dl 201/2011 anche nel triennio 2014-2016, in base alle nuove regole introdotte dalla legge di stabilità 2014.
Il Sole 24 Ore – 22 dicembre 2013