Marco Rogari, Il Sole 24 Ore. Un «maggiore onere» valutabile in 4,3 punti percentuali di Pil. È l’impatto sui conti pensionistici che, cumulativamente, produrrebbe di qui al 2044 l’adozione in via strutturale di Quota 102. A calcolarlo è una simulazione della Ragioneria generale dello Stato contenuta nel rapporto 2022 sulle tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio sanitario. E questa è un’indicazione non proprio trascurabile. Perché, con le dimissioni del governo Draghi e la chiusura anticipata della legislatura, una proroga di un anno della possibilità di uscita con 64 anni d’età e almeno 38 di contribuzione, attualmente prevista per il solo 2022, diventa una delle opzioni utilizzabili per evitare dal 2023 un ritorno secco alla legge Fornero in forma integrale e, allo stesso tempo, non appesantire troppo la spesa per pensioni. Che il prossimo anno sarà già gravata da un conto vicino ai 24 miliardi legato all’impennata dell’inflazione, con conseguente indicizzazione automatica dei trattamenti.
I tecnici della Ragioneria fanno notare che il ricorso in via permanente a Quota 102 (adeguata biennalmente alla variazione della speranza di vita) produce un aumento significativo del rapporto spesa pensionistica-Pil nel primo ventennio del periodo di previsione. In particolare, negli anni 2022-2044, l’incidenza delle uscite in rapporto al Prodotto interno aumenterebbe, in media, di 0,25 punti percentuali. E il picco verrebbe raggiunto nel 2042, «due anni prima rispetto al valore di massimo previsto a legislazione vigente e con un valore di 16,9%, in linea con il dato dello scenario nazionale» base.
Nel rapporto è contenuta anche un’altra simulazione dei tecnici di via XX settembre: quella sull’abolizione permanente dell’adeguamento alla speranza di vita del canale di pensionamento di anzianità contributiva, al quale si può accedere con 42 anni e 10 mesi di versamenti (41 anni e 10 mesi per le donne) a prescindere dall’età anagrafica. In questo caso la spesa in rapporto al Pil inizierebbe a salire dopo il 2026 in modo graduale e, dal 2031, si manterrebbe più elevata di circa tre decimi di punto fino al 2045 (di un decimo di punto nel periodo successivo).
Al picco si arriverebbe nel 2042 toccando quota 17% sul Pil contro il 16,8% ipotizzato nel 2044 dalla previsione a normativa vigente (v. Il Sole 24 Ore di ieri). Nel report si evidenzia che la configurazione “strutturale” di questo canale, senza gli adeguamenti biennali all’aspettativa di vita, produrrebbe cumulativamente nell’intero periodo di previsione un maggiore onere quantificato in 6,9 punti percentuali di Pil.
Queste due possibili strade rappresenterebbero di fatto altri “alleggerimenti” della legge Fornero con una significativa ricaduta in termini di incremento delle uscite. La Ragioneria generale ha anche calcolato l’aggravio di costi prodotto dalle varie deroghe alla legge del governo Monti introdotte tra il 2019 (a partire da Quota 100) e quest’anno con il ricorso a Quota 102. Deroghe – si legge nel rapporto – che «hanno determinato un ampliamento della spesa e una retrocessione nel percorso di elevamento dei requisiti di accesso al pensionamento, producendo nel periodo 2019-2034, ulteriori maggiori oneri pari in media a 0,23 punti di Pil l’anno».