Il doppiopetto è ormai indossato, ma bisognerà vedere fino a che punto l’esuberante Salvini saprà resistere alla tentazione di tornare alla camicia aperta sul collo. Sulla strada della «legge di Bilancio seria» e che «rispetti tutti i vincoli Ue», c’è il passaggio scivoloso del promesso “smontaggio” della Fornero.
Cavallo di battaglia da sempre della Lega, oggi sembra l’ultima linea di resistenza, per non ammettere che il contratto di governo è diventato semplice materiale di archivio.
Salvini, ieri in una intervista, è tornato ad adombrare vagamente la linea più radicale: quota 100 per tutti e spesa dai 6 agli 8 miliardi.
Cosa vuol dire? Per capirlo bisogna tornare alle indicazioni del contratto gialloverde del maggio scorso e consultare i numeri dell’Inps rielaborati dalla società “Tabula”. L’obiettivo di quel documento programmatico era quello di cancellare l’odiata legge Fornero, varata nel 2012: come si ricorderà il provvedimento cancellava un sistema flessibile a quote, che consentiva il pensionamento sommando l’età anagrafica a quella contributiva. Al suo posto introduceva due limiti rigidi in base ai quali, stando alla Fornero, il prossimo anno non si potrà andare in pensione prima dei 67 anni di età a meno che non si abbiano almeno 43 anni e 3 mesi di contributi. Troppo per la massa di operai e dipendenti pubblici del Nord, stabili e con storie lavorative consolidate. Il contratto forniva invece una proposta allettante: smontiamo questo sistema e introduciamo quota 100 senza alcun limite. Hai 62 anni? Se li sommi a 38 di contributi puoi andare. Se non raggiungi i due requisiti basta che tu abbia 41 anni di contributi e non più 43 e 3 mesi.
Risultato: erano pronti ad andare a riposo 750 mila lavoratori. Con un costo tuttavia esorbitante di 14,3 miliardi fin dal primo anno.
È così che fin dalle prime battute la proposta del contratto, a forte influenza leghista, ha cominciato a scolorirsi, soprattutto per opera di Alberto Brambilla, tecnico di lungo corso e di area, che ha cominciato a mettere paletti. Il primo è stato quello di correggere quota 100 con una soglia fissa.
Vuoi andare in pensione? Devi totalizzare quota 100 ma devi avere almeno 64 anni. Tuttavia ti lasciamo andar via anche se hai totalizzato 41 anni di contributi.
Una correzione che abbassa i costi a 11,5 miliardi e che circoscrive la platea a 600 mila lavoratori.
Ma per i conti dello Stato è ancora troppo, e soprattutto mal si concilia con la linea, ribadita anche ieri da Di Maio, di «non voler sfidare la Ue».
Così, a colpi di interviste e indiscrezioni, dal fronte leghista sono uscite altre ipotesi, sempre più restrittive e sempre meno costose. Con il risultato di ridurre la platea dei possibili beneficiari del pensionamento anticipato. In una delle ultime, oltre a mantenere la soglia minima dei 64 anni, si rinuncerebbe a ridurre a 41 anni la quota di contributi che ti consente in ogni caso di uscire dal lavoro e si lascerebbe l’ostacolo dei 43 anni e 3 mesi. Certo qui il costo scende a 6,6 miliardi, ma la platea si riduce a 300 mila unità con prevedibile delusione della base leghista quando si renderà conto di quello che sta accadendo nelle stanze dei tecnici della Lega.
L’ultima proposta circolata, di matrice Brambilla, l’unica parzialmente compatibile con una manovra complessiva di 10-12 miliardi (senza Iva), è quella che introduce almeno altri due paletti: i contributi per calcolare quota 100 non possono tenere conto di più di 2 anni di versamenti figurativi (malattia, disoccupazione, ecc.) e inoltre chi va in pensione in anticipo deve sottostare al penalizzante ricalcolo della pensione con il metodo contributivo. Qui i costi sarebbero di 3 miliardi (con 220 mila uscite), a meno che non si arrivi — come pure è stato ipotizzato — a sopprimere anche i finanziamenti per l’Ape sociale che di fatto consente alle categorie disagiate di lasciare il lavoro a quota 93. In questo caso il cerchio si chiuderebbe: paradossalmente l’accesso alla pensione verrebbe reso ancora più difficile nel 2019 per almeno i 50 mila lavoratori che potrebbero beneficiarne.
Repubblica