Marco Rogari, il sole 24 ore. Dopo Quota 100 e Quota 102 anche Quota 103 va in pensione. Dal 1° gennaio 2024 sarà sostituita da Quota 104, la possibilità di uscire con 63 anni di età e 41 di contributi, alla quale sarà collegato un meccanismo di incentivi per rimanere più lungo al lavoro e, forse, di penalizzazioni per chi tentasse di accorciare leggermente i tempi del pensionamento, sulla falsariga del cosiddetto “bonus Maroni”. E anche Ape sociale e Opzione donna lasciano il campo, almeno nell’attuale configurazione, a un nuovo fondo per la flessibilità in uscita destinato ad alimentare uno strumento unico di accompagnamento alla pensione per i caregiver, i disoccupati, i lavoratori impegnati in attività «gravose» e i disabili che abbiamo varcato le soglie di 63 anni d’età e 36 di versamenti (oggi 30 in molti casi). Che si dovrebbero ridurre a 35 anni per le donne, con magari la possibilità di “sconti” in presenza di figli, ancora tutta da verificare. Si traduce in queste misure sulla previdenza, contenute nella manovra varata ieri dal Consiglio dei ministri, quello che per il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, è un accesso al pensionamento anticipato «con forme rafforzate e restrittive rispetto al passato».
Sulla scia della stretta all’indicizzazione dei trattamenti pensionistici scattata quest’anno, il governo Meloni ridefinisce ulteriormente il perimetro del terreno scivoloso della previdenza rinviando a una fase successiva la riforma organica ipotizzata nei mesi scorsi, compreso l’approdo a quella Quota 41 tanto cara alla Lega. La corsa quasi inarrestabile della spesa pensionistica, messa nero su bianco anche dalla Nadef presentata nelle scorse settimane, i problemi di sostenibilità nel medio periodo acuiti dall’inverno demografico, la scarsità di risorse a disposizione della legga di Bilancio e, non ultima, la necessità di mandare messaggi rassicuranti a Bruxelles hanno indotto Palazzo Chigi e il Mef a rendere ancora più selettivo il ricorso alle uscite anticipate.
Allo stesso tempo, però, il governo fa sapere di voler tutelare il più possibile i trattamenti bassi. La stessa Giorgia Meloni in conferenza stampa ha affermato che anche nel 2024 sarà confermata la “super-rivalutazione” che già quest’anno ha consentito agli assegni minimi degli “over 75” di salire a circa 600 euro mensili. E che ora sono destinati a superare i 650 euro. Anche i trattamenti al minimo degli “over 65” dovrebbero lievitare a circa 620 euro mensili, per effetto del pressing di Fi. Il tutto accompagnato da una rimodulazione del meccanismo di indicizzazione delle pensioni all’inflazione attualmente in vigore, che assicurerà la rivalutazione piena (100%) ai trattamenti fino a 4 volte il minimo (2.101,52 euro), farà salire dall’85 al 90% quella per gli assegni tra 4 e 5 volte il minimo e vedrà probabilmente scendere ulteriormente (sotto il 30%) la perequazione di quelli superiori a 10 volte il minimo. Il costo pluriennale di questi interventi è di circa 14 miliardi. Sulla base dell’attuale schema invece scatterà, con il decreto fiscale approvato ieri, l’anticipo, da gennaio 2024 al prossimo 1° novembre, del conguaglio dell’indicizzazione dello scorso anno: lo 0,8% necessario a recuperare l’inflazione effettiva del 2022 (8,1%), per una spesa di oltre 2,5 miliardi in due anni.
Sempre Meloni ha lasciato intendere che l’esecutivo punta a tutelare maggiormente, intervenendo «su alcune situazioni di squilibrio», i soggetti interamente ”contributivi”, ovvero chi ha cominciato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995. In quest’ottica è stato eliminato il vincolo che a tutt’oggi impone a chi è nel contributivo di andare in pensione con l’età raggiunta solo se l’importo della sua pensione è superiore a 1,5 la pensione sociale (745,91 euro mensili). Un vincolo che ha portato in molti casi a ritardare l’uscita di vecchiaia da 67 ai 71 anni. Anche se, secondo i sindacati, per alcuni lavoratori, soprattutto donne, l’eventuale assenza di un livello minimo “di garanzia” potrebbe ora aprire la strada a trattamenti molto bassi. Sempre per rendere più adeguata la copertura previdenziale di “contributivi” e under 35 la manovra, se non ci saranno cambiamenti nel testo finale, prevede anche un intervento per agevolare il riscatto di periodi non coperti da contribuzione, colmando così una parte dei cosiddetti “vuoti” nei versamenti.