La legge di Bilancio approvata alla Camera e che dopo il referendum approderà al Senato apre per la prima volta dei canali strutturali di pensionamento anticipato rispetto alla riforma Fornero. Ma lo fa non per tutti (tranne il caso dell’Ape volontaria che però è a spese di chi la sceglie) bensì per gruppi selezionati di lavoratori. Col rischio, come sempre in questi casi, che a beneficiarne siano le categorie più forti o meglio rappresentate politicamente.
A queste conclusioni si giunge leggendo la nota di approfondimento dell’Upb, l’Ufficio parlamentare di Bilancio guidato da Giuseppe Pisauro. Nota che ha mappato le novità in materia di accesso anticipato alla pensione contenute nella manovra e i riflessi sulla spesa pubblica anche alla luce degli emendamenti approvati alla Camera. Gli interventi costeranno nei prossimi tre anni 4,1 miliardi. Cifra consistente, ma che va rapportata ai 270 miliardi destinati ogni anno alle pensioni.
Le vie d’uscita mappate dall’Upb sono sei: l’Ape sociale (riguarda disoccupati, invalidi o con parenti disabili a carico, usuranti); l’anticipo ad hoc per i lavoratori precoci; quello per gli usuranti; l’ottava «salvaguardia»; l’«opzione donna»; il rifinanziamento dei pensionamenti anticipati per i giornalisti di aziende in ristrutturazione. A questi interventi si potrebbero anche sommare l’Ape volontaria e il finanziamento da 648 milioni di euro nel periodo 2017-2021 per consentire il pensionamento anticipato (fino a 7 anni prima) di 25 mila bancari, non considerati nella nota.
«Al di là dei dettagli» delle misure, osservano i tecnici, «emerge una considerazione generale. Sinora le deroghe alla riforma Fornero sono state tutte veicolate da salvaguardie rivolte esclusivamente al passato, cioè a gruppi di lavoratori che nel 2011 condividevano una sufficiente prossimità al pensionamento. Di salvaguardia in salvaguardia questo requisito comune si è dilatato, e l’ottava salvaguardia è giunta a includere coloro che, con le vecchie regole, avrebbero visto decorrere la pensione entro 7 anni dall’entrata in vigore della riforma Fornero (6 gennaio 2019)». Insomma, fra tre anni, ci saranno ancora persone che potranno andare in pensione con le «quote» pre-Fornero (61 anni e 7 mesi d’età e 35 di contributi nel 2019). L’ottava salvaguardia, decisa su pressione dei sindacati, interesserà altre 30 mila persone, portando il totale a oltre 160mila. Includendo, come ha sottolineato in passato l’Upb, anche platee «non direttamente danneggiate» dalla riforma del 2011.
Con la manovra 2017 il governo ha inteso chiudere questa vicenda e aprire, dice l’Upb, «nuovi canali di pensionamento — Ape sociale e anticipo per precoci e usurati — che provano a incorporare direttamente nelle regole del sistema spazi di flessibilità per fattispecie ritenute meritevoli di attenzione anche per il futuro». Solo che anche i nuovi interventi sono selettivi, riguardano cioè gruppi di lavoratori. E questo può implicare discriminazioni. Quelle dovute alla forza delle diverse categorie sono evidenti. Ma c’è anche una ragione tecnica, che sta per esempio «nel fatto che l’ottava salvaguardia e una parte sia dell’Ape sociale sia dell’anticipazione per i precoci si indirizzano alle medesime due macro-aree: coloro che per varie ragioni hanno cessato di lavorare e sono in attesa della prima possibilità utile di pensionamento, e i lavoratori che assistono familiari affetti da disabilità grave». Solo che «chi riesce a beneficiare della nuova salvaguardia può pensionarsi con i requisiti pre Fornero e senza riduzioni dell’assegno, mentre chi accede all’Ape sociale, oltre a soddi- sfare requisiti anagrafico-contributivi diversi, riceve una indennità pari al massimo a 1.500 euro al mese».
Enrico Marro – Il Corriere della Sera – 4 dicembre 2016