Alessandro Barbera. Viceministro Morando, sui vostri tavoli c’è una ipotesi di manovra da 25 miliardi, ma per finanziare tutto ciò che avete promesso non ne basterebbero 30. Come farete? «Mancano quasi due mesi alla presentazione della manovra, siamo in una fase in cui vengono avanzate ancora ipotesi. A un certo punto bisognerà fare scelte. Scelte politiche».
Proviamo a discuterne. Le pensioni flessibili: sia sincero, dipendesse da lei non se ne farebbe nulla.
«Non sono contrario, però mi corre il dovere di ricordare che il welfare italiano resta fortemente sperequato. Se si eccettua la Grecia, siamo ancora il Paese europeo con la spesa per pensioni più alta in rapporto alla ricchezza prodotta, mentre investiamo meno di altri in sussidi di disoccupazione e politiche sulla casa. E poiché siamo un partito di sinistra…».
È contrario ma non può dirlo?
«Sono favorevole purché la riforma si autofinanzi. Se invece fosse necessario stanziare risorse, faremmo un errore».
Gli esperti dicono che l’uscita flessibile dal lavoro dopo i 60?anni senza costi per lo Stato significa una penalizzazione del 3 per cento per ogni anno di anticipo.
«Così dice il presidente Inps Boeri, ma ho letto stime superiori. C’è chi propone di tenere conto dell’attesa di vita, chi un prestito previdenziale. Qualunque soluzione neutrale per le casse dello Stato va bene».
Renzi ha promesso l’abolizione della tassa sulla prima casa a tutti, ma la lista dei contrari si allunga. La sinistra Pd e il suo collega Zanetti sono contrari a toglierla ai più ricchi, per non dire di Bruxelles. Nell’Europa a 28 l’unico Paese in cui non si paga è Malta.
«Stiamo ipotizzando un intervento di riduzioni fiscali da 45 miliardi di qui al 2018, il 10 per cento riguarda i patrimoni immobiliari. Non nego si tratti di una questione vera. Però sia chiara una cosa: durante l’iter della legge elettorale abbiamo spaccato il capello per capire se fosse meglio avere i capilista bloccati o il listino bloccato, come se di lì passasse il confine fra autoritarismo e democrazia. Ora non vorrei inscenare con la minoranza Pd una dibattito del genere sulla casa. Cerchiamo una soluzione, ma senza animosità».
Sulla decontribuzione nel governo ci sono due scuole di pensiero: c’è chi una punta alla conferma dello sconto triennale per i neoassunti nel 2016, mentre l’economista Tommaso Nannicini ha elaborato una proposta che prevede un taglio dei contributi di sei punti a tutti. Che ne pensa?
«La misura in vigore è molto efficace. Non tanto per aumentare l’occupazione – per quella ci vuole più crescita – ma grazie alla decontribuzione sta avvenendo qualcosa di storico: il contratto a tempo indeterminato sta tornando il più usato dalle aziende. Io sono favorevole a riproporre la decontribuzione così com’è nel 2016, dal 2017 si può costruire una soluzione strutturale. In ogni caso è bene dire sin d’ora alle aziende come intendiamo muoverci negli anni a venire».
Lei è un sostenitore dei tempi lunghi. Ma qui c’è bisogno di andare in fretta. I tagli, ad esempio: ne avete proposti per dieci miliardi in un anno. Renzi accetterà il costo dell’impopolarità?
«Noi italiani abbiamo una terribile mania: programmare gli interventi di finanza pubblica da un anno all’altro. In Australia, Svezia e Canada, Paesi nei quali c’è stata una profonda e efficace revisione della spesa, hanno ragionato in un’ottica decennale. Ora, non dico di arrivare a tanto, mi accontenterei di tre anni. Per quanto riguarda i tagli della prossima manovra, è ovvio che dovremo tenere conto del costo politico delle nostre decisioni. Se negli anni scorsi i risultati sono stati scarsi, una ragione ci sarà».
Le proposte elaborate da Gutgeld e Perotti convincono il Tesoro?
«Sono molto dettagliate. Aggiungerei solo un punto: la quantificazione sin d’ora dei risparmi che arriveranno dalla riforma della pubblica amministrazione nel 2017».
A proposito di tempi lunghi: sull’abolizione delle Province siete in grave ritardo.
«Ci stiamo mettendo molto più di quanto avremmo dovuto. Abbiamo fatto passi avanti sulla ricollocazione dei loro dipendenti, ma bisogna migliorare la cooperazione fra governo ed enti locali, che finora è mancata».
La Stampa – 24 agosto 2015