«Dal 2030 il rapporto tra spesa e Pil riprende ad aumentare fino a raggiungere il 17% nel 2042», sottolineano i tecnici del Mef. Che evidenziano anche come questa dinamica sia essenzialmente dovuta «all’incremento del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati indotto dalla transizione demografica, solo parzialmente compensato dall’innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento». In altre parole, l’effetto dovuto all’aumento del numero dei trattamenti previdenziali è destinato a “sopravanzare” quello derivante dal contenimento degli importi pensionistici per la graduale adozione del sistema di calcolo contributivo sull’intera vita lavorativa. Una fotografia, quella scattata dalla Nadef, che, almeno nei suoi tratti essenziali, appare in sintonia con le parole sulla questione previdenza-demografia pronunciate a più riprese dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Che anche mercoledì ha ripetuto che con l’attuale tasso di natalità del Paese «il sistema pensionistico non regge».
Affermazioni che non si traducono comunque in una rinuncia del governo a intervenire strutturalmente sulle regole in vigore. La riforma per superare, almeno in parte, la legge Fornero continua a restare nell’agenda di palazzo Chigi, ma con un orizzonte più lungo di quanto ipotizzato soltanto un anno fa, che guarda ora alla fine della legislatura. Anche Quota 41 non è stata derubricata, come ha sottolineato più volte il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon. Ma in ogni caso le sue “chance” di ottenere un via libera nei prossimi anni sembrano già condizionate al ricalcolo contributivo del trattamento.
Già nell’immediato, del resto, la situazione si presenta complicata, soprattutto per le ricadute della corsa dell’inflazione sulla rivalutazione dei trattamenti pensionistici, ma non solo. La Nadef indica chiaramente che l’anno prossimo le uscite pensionistiche avranno una crescita boom del 7,3%, addirittura maggiore del +7,1% stimato nel Def di aprile, «principalmente – si legge nella Nota di aggiornamento del governo – per effetto dell’indicizzazione delle pensioni all’inflazione dell’anno precedente». Ma a incidere è anche la cosiddetta scia di Quota 100 che continua ad avere un significativo impatto sui conti pubblici, mentre molto più limitati sono quelli di Quota 102 e Quota 103. Nel 2024 la spesa arriverà a 340,56 miliardi, (raggiungendo il 16% del Pil): 23,07 miliardi in più di quella prevista alla fine di quest’anno (317,49 miliardi, pari al 15,5% del Pil), e superiore di 43,37 miliardi dei 297,19 miliardi registrati nel 2022 (15,3% del Pil). Nel 2025 saranno superati i 350 miliardi e l’anno successivo, il 2026, si arriverà a 360,67 miliardi con una crescita media delle uscite in questo biennio di circa il 3 per cento.
Il sistema previdenziale è insomma in chiara sofferenza. I tecnici del Mef nel focus contenuto nella Nadef, che riprendere l’ultima analisi sulla previdenza elaborata quest’anno dalla Ragioneria generale, fanno notare che «tenuto anche conto dell’elevato livello dell’indicizzazione nel biennio 2023-2024 (imputabile al rilevante incremento del tasso di inflazione registrato a partire dalla fine del 2021 al 2023), la spesa in rapporto al Pil aumenta significativamente portandosi, alla fine del biennio, al 16% (0,8 punti percentuali sopra il dato del 2018), livello che viene sostanzialmente mantenuto fino al 2029». Per i prossimi sei anni, quindi, in assenza di interventi per contenere i costi, la “pressione” delle pensioni sul Pil non è destinata a scendere. Con la prospettiva, oltretutto, di crescere rapidamente a partire dal 2030.