In tempi di crisi e di ristrettezze, ora i lavoratori del pubblico impiego possono disporre di un nuovo sostegno economico, ricorrendo alla cessione del trattamento di fine servizio
Per far fronte alle esigenze personali o familiari che comportano impegni finanziari di un certo rilievo, come il mutuo per la casa o una ristrutturazione, i dipendenti pubblici possono ricorrere alla cessione del trattamento di fine servizio. È la novità, da pochi giorni messa in campo dall’Inpdap, per chi al termine della carriera riceve l’indennità di buonuscita o di anzianità oppure l’indennità premio di servizio. Il decreto milleproroghe di quest’anno ha stabilito che, oltre ai salari, agli stipendi e alle pensioni, anche i diversi trattamenti di fine servizio non possono essere oggetto di sequestro, pignoramento o cessione «fino alla data di cessazione del rapporto di lavoro e del relativo rapporto previdenziale». Da questa disposizione – argomenta l’Istituto delle pensioni pubbliche – si evince, al contrario, che i trattamenti di fine servizio possono essere ceduti, in tutto o in parte, durante il lasso di tempo che intercorre tra la cessazione del rapporto di lavoro e l’effettiva e completa liquidazione dell’assegno finale all’ormai ex dipendente. L’importo cedibile corrisponde al netto del trattamento maturato, detratti eventuali debiti in corso con lo stesso Inpdap prima della notifica della cessione. I cessionari ai quali il dipendente può cedere il suo credito con l’Inpdap sono solo le banche e gli altri intermediari finanziari autorizzati e accreditati presso l’Inpdap. La cessione del trattamento di fine servizio ha l’effetto di trasferire il diritto di credito dell’iscritto Inpdap ad un soggetto diverso. Nulla cambia, ai fini del pagamento della buonuscita, sul rispetto delle scadenze stabilite per il settore, compreso i pagamenti rateali introdotti da ultimo per gli importi superiori a 90 mila euro. La procedura per la formazione del contratto di cessione (il modulo è reperibile sul sito dell’Inpdap) è tuttavia rallentata da una preventiva verifica presso Equitalia, la società di riscossione dei tributi, di eventuali debiti del dipendente verso altre pubbliche amministrazioni. La verifica è obbligatoria quando la somma da cedere supera i diecimila euro.
L’accertamento di segno negativo serve solo come liberatoria utile per l’Inpdap per autorizzare la cessione del credito. Invece l’eventuale presenza di altri debiti di pubblica rilevanza obbliga l’ente ad accantonare le somme necessarie alla loro estinzione, riducendo così l’importo disponibile per la cessione. Al lavoratore deve essere consegnata una copia delle stampe della verifica presso Equitalia, una certificazione valida solo per 15 giorni lavorativi, trascorsi i quali occorre richiedere il rilascio di una nuova attestazione. Qualora dovesse essere rilevato, successivamente alla cessione, che siano state indebitamente liquidate somme maggiori del dovuto, il recupero avviene nei confronti dell’iscritto e non della banca.
Vittorio Spinelli – Avvenire 12 luglio 2011