Marco Rogari, Il Sole 24 Ore. L’ultimo allarme è stato lanciato martedì scorso dall’Ufficio parlamentare di bilancio con una sostanziale richiesta di chiarezza al governo sulla spinosa questione dell’impatto sui conti pubblici della maggiore indicizzazione degli assegni da garantire ai pensionati per il vertiginoso aumento dei prezzi al consumo.
La rivalutazione automatica dei trattamenti previdenziali, in calendario ogni anno a gennaio, è una delle prime spine con cui dovrà fare i conti il governo che si formerà dopo la tornata elettorale del 25 settembre.
Anche perchè già nelle scorse settimane le prime stime sull’effetto del caro vita sulle uscite previdenziali hanno destato più di una preoccupazione tra i tecnici della Ragioneria generale dello Stato e dell’Inps. La ricaduta sulla spesa pensionistica di un’inflazione sopra l’8% sarebbe non inferiore ai 2+5 miliardi. Con la conseguenza di ipotecare almeno 8-10 miliardi della legge di bilancio per il 2023. Che si andranno ad aggiungere ai maggiori costi già previsti a legislazione vigente (assorbiti nelle previsioni del Def di aprile) e alla mini-dote, a carico del bilancio 2022, stanziata dal governo con il decreto Aiuti bis per garantire a ottobre un primo anticipo del 2% delle rivalutazioni dei trattamenti per la sola platea sotto i 35 mila euro di reddito annuo.
Già a fine luglio la Ragioneria aveva indicato, nel consueto aggiornamento delle tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico, in un +0,7% del Pil l’incremento della spesa previdenziale per il prossimo biennio sotto la spinta del caro vita. E i tecnici di via XX Settembre avevano anche fatto notare che le ricadute di questa impennata dell’inflazione sarebbero state riassorbite nell’arco di un ventennio producendo una crescita del “oneri” in media dell 0,4% del Pil appunto nel periodo compreso tra il 2022 e il 2045. Uno scenario che per effetto della frenata dell’economia atteso nei prossimi mesi potrebbe ulteriormente peggiorare. Nel quadro tendenziale della Nota di aggiornamento al Def che si accinge a presentare il governo Draghi (si veda l’articolo qui sopra) potrebbe essere ritoccata al rialzo la previsione sulla crescita della spesa pensionistica il prossimo anno. Che, nelle ultime proiezioni della Ragioneria, viene data al al 16,2% del Pil: 0,5 punti in percentuali in più del 15,7% indicato per il 2022.
Con questa prospettiva per le forze politiche che usciranno vittoriose dall’appuntamento elettorale del 25 settembre non sarà facile mantenere i numerosi impegni presi in campagna elettorale: dal superamento della legge Fornero con Quota 41 promesso dalla Lega e dalla 14esima rafforzata del Pd, fino allo stop del meccanismo automatico di adeguamento delle pensioni all’aspettativa di vita proposto da Fdi.