Circa 300 milioni in tre anni – compresa la dote già garantita dalla manovra con il bonus donne per l’Ape social aperta anche ai contratti a termine – per esentare dall’aumento automatico a 67 anni nel 2019 ben 15 categorie di lavori gravosi, sempreché siano in possesso di 30 anni di contributi e abbiano svolto mansioni faticose per sette anni negli ultimi 10 d’impiego. Con lo stesso serbatoio si alimenterebbe anche l’allineamento del prelievo su rendite e capitale della previdenza integrativa dei lavoratori pubblici a quella dei privati. Sono le risorse che il Governo conta di mobilitare, anche facendo leva sui fondi che risultassero inutilizzati nel 2018 per Ape social e precoci, per rendere operativo il piano in sette punti illustrato ieri ai sindacati.
Uno schema che prevede anche la costituzione di una commissione tecnico-scientifica per studiare la gravosità dei singoli lavori per attutire gli scatti sui requisiti di pensionamento e tentare di introdurre una valutazione separata delle spese assistenziali da quelle previdenziali, la revisione dal 2021 del meccanismo di calcolo dell’aspettativa di vita (in media su base biennale) e il miglioramento del fondo per l’integrazione salariale.
Sul meccanismo automatico di adeguamento dei requisiti alla speranza di vita, il ministro del Lavoro, Giuliani Poletti, ha ribadito che il Governo non arretrerà: «È un pilastro del sistema e va salvaguardato».
I sindacati, a partire dal Cgil, considerano la proposta presentata ancora insufficiente. E per questo motivo le parti si sono date appuntamento a sabato 18 novembre per un ultimo, decisivo round per cercare un’intesa che appare ancora difficile.
Il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, sembrava confidare in un accordo già ieri. Non a caso all’apertura dell’incontro ha fatto circolare una dichiarazione ottimista: «Credo che sia stato fatto un buon lavoro, nelle condizioni date il Governo mette in campo un impegno finanziario importante. Ci sono le condizioni per dare un messaggio positivo al Paese, mi auguro che si possano concretizzare». Ma al termine dell’incontro , in sala stampa a palazzo Chigi, è stata Susanna Camusso a far capire che le distanze restano: «Nel tempo da qui a sabato il Governo dovrebbe definire tutte le risposte e sul tema dell’aspettativa di vita le risposte sono ampiamente insufficienti perché aprono dei problemi di cambiamento dei meccanismi previdenziali». Più possibilisti, invece, si sono detti Anna Maria Furlan (Cisl) e Carmelo Barbagallo (Uil), che chiedono di prorogare al 2019 l’Ape sociale in una versione allargata che comprenda tutte le 15 categorie esentate dall’età. E proprio su questi ultimi due punti potrebbero arrivare nuove aperture.
Per le coperture si punterebbe ad utilizzare le risorse non spese nel 2018 e nel biennio a seguire per il pensionamento anticipato dei lavoratori precoci e per l’Ape sociale. Ieri sono circolati numeri, attribuiti a Inps, su un “tiraggio” fino al 75-80% delle due misure, per un totale di oltre 46.000 domande a fronte delle 66.000 arrivate e delle 60.000 previste. Ma l’Istituto, in serata, ha fatto sapere che stime precise saranno possibili solo al termine del riesame delle domande respinte per l’Ape, mentre per i precoci al momento sono state accolte circa 8.000 a fronte delle 26.000 ricevute.
Sempre sul fronte delle risorse vale ricordare che l’apertura dell’Ape sociale anche ai lavoratori a termine e il “bonus” di sei mesi per ogni figlio fino a un tetto di 24 mesi per le lavoratrici-madri costerà 252 milioni cumulati entro il 2020. Non sappiamo se il “tiraggio” dell’Ape sociale allargato a 6-7mila beneficiari in più all’anno (al netto di un’ ulteriore estensione) determinerà davvero tutte le uscite previste, anche perchè l’anno prossimo finalmente decollerà l’Ape volontario e aziendale, che con un minimo di adesioni potrebbe garantire uscite dal mercato a 63 anni, quattro in meno dei fatidici 67 anni, senza costi per lo Stato.
Il Sole 24 ore – 14 novembre 2017