Passerà sempre di più per l’Ape la strada dell’uscita anticipata dal lavoro. La legge di bilancio che questa settimana arriverà finalmente in Parlamento non contiene novità sostanziali in materia di previdenza, ma interviene per ampliare sia l’anticipo sociale, che di fatto è un’indennità corrisposta in vista della pensione a categorie più deboli, sia quello volontario, il prestito da restituire in vent’anni che in realtà non è ancora partito.
I RITOCCHI
Per l’Ape social i ritocchi riguardano le lavoratrici madri, per le quali il requisito contributivo (30 anni o 36 per le mansioni faticose) si riduce di sei mesi per ciascun figlio fino a un massimo di due anni, e coloro che sono rimasti senza lavoro a seguito della scadenza di un contratto a termine, che si vedranno riconoscere la qualifica di disoccupato, ovvero una delle quattro condizioni possibili per avere diritto all’indennità. Di conseguenza dall’anno prossimo aumenterà un po’ la platea di coloro che potranno fare domanda con la ragionevole speranza di vedersela accolta, mentre quest’anno al primo appello sono state respinte circa il 70 per cento delle richieste e la situazione potrà cambiare solo in parte con il riesame promesso dall’Inps.
Per quanto riguarda invece l’Ape volontaria il correttivo dovrebbe consistere nel prolungamento di un anno (dunque fino al 2019) del regime sperimentale, mentre si attende ancora l’avvio della procedura con valenza retroattiva al maggio 2017: è alle battute finali la convenzione con banche e assicurazioni ma a questo punto la macchina potrebbe non fare in tempo a mettersi in moto nemmeno il primo dicembre: tutto slitterebbe all’inizio del prossimo anno.
IMPATTO LIMITATO
Nel complesso le novità della legge di Bilancio hanno certamente un impatto limitato, ma arriveranno in un contesto in cui diventa più difficile accedere alla pensione prima dell’età della vecchiaia, che a sua volta scivola in avanti. Nel 2019 infatti l’aumento di cinque mesi legato all’aspettativa di vita non si applicherà solo al requisito di età (che passerà a 67 anni sia per le donne che per gli uomini, ma anche a quello contributivo per la pensione anticipata: dunque per usare questo canale i lavoratori dovranno aver messo insieme 43 anni e 3 mesi di versamenti e le lavoratrici 42 e 3 mesi. Ma già dal prossimo anno andranno di fatto ad esaurirsi altre due scorciatoie previste dalle norme vigenti, l’opzione donna e la cosiddetta disposizione eccezionale della riforma Fornero. Nel primo caso, salvo eventuali proroghe, le ultime uscite di lavoratrici autonome (quelle che hanno compiuto 58 e 7 mesi nel 2016 avendo optato per il sistema contributivo) sono previste nel febbraio 2018 mentre per le dipendenti (con 57 anni e 7 mesi) la finestra si è già chiusa nell’anno in corso. Anche la scappatoia che permetteva l’uscita a 64 anni a coloro che nel 2012 avevano i vecchi requisiti è sostanzialmente terminata nel corso del 2017.
IL FLOP DEL PART TIME
Restano praticabili sulla carta altri canali di uscita anticipata, che però fin qui si sono rivelati poco praticabili dai potenziali interessati. Uno è certamente quello riservato ai lavori usuranti(concetto diverso rispetto alle mansioni faticose che sono uno dei quattro requisiti possibili per l’Ape social): il relativo fondo viene spesso definanziato perché il numero di coloro che soddisfano le severe condizioni richieste risulta sistematicamente più basso del previsto. Qualcosa di simile è successo con le varie salvaguardie originariamente ideate per mettere in salvo gli esodati colpiti dalla riforma Fornero: l’ottava e ultima in base ai dati di monitoraggio è stata ridimensionata con il recentissimo decreto fiscale da 30.700 persone a poco più di 16 mila, con conseguenti risparmi per lo Stato. Infine c’è la formula che permette di avviarsi alla pensione continuando a lavorare part time, introdotta un anno e mezzo fa e scelta solo da poche centinaia di interessati: anche in questo caso il relativo fondo è stato saccheggiato per far fronte ad altre esigenze.
Il Messaggero – 23 ottobre 2017