Il Sole 24 Ore. Quando nasce, il figlio di un dipendente pubblico ha lo stesso diritto del vicino di culla figlio di un lavoratore privato a vedere accanto a sé il padre oltre alla madre? La domanda non sembra particolarmente complessa. Ma il tentativo di trovare una risposta logica impegna la produzione normativa italiana da dieci anni. Invano. Al punto che ora il Parlamento chiede al governo di mettere mano al problema. L’occasione è il decreto legislativo che recepisce anche da noi la direttiva europea 2019/1158, allineando la normativa nazionale alle regole europee sui congedi di paternità: ancora una volta, però, senza estenderne l’applicazione ai dipendenti pubblici. Almeno nel testo approvato in prima lettura dal governo e ora atteso al via libera definitivo.
Il cammino lento delle regole italiane verso questo abbozzo di parità di genere è iniziato appunto 10 anni fa. Quando il governo Monti, nella legge 92/2012 introdusse in via sperimentale per tre anni (2013, 2014 e 2015) un giorno di congedo di paternità obbligatorio accompagnato da altri due facoltativi. L’audace sperimentazione è stata poi prorogata, nel 2017 i giorni obbligatori sono diventati due, sono saliti a quattro dal 2018 e sono diventati 10 da quest’anno con l’ultima legge di bilancio.
Tutto bellissimo e molto moderno, forse troppo per la Pa. Perché come ha spiegato Palazzo Chigi qualche settimana fa in una nota di risposta alla Flp e ad altri sindacati, per estendere il congedo di paternità retribuito al 100% nel pubblico impiego occorre una «armonizzazione» normativa; che nessuno ha mai fatto, con la conseguenza che «la disposizione non è allo stato applicabile ai lavoratori pubblici».
Il problema, come evidenziato sul Sole 24 Ore del 25 aprile scorso, non sembra risolto dalla bozza del nuovo decreto legislativo. Che semplicemente non ne parla; e anzi nella relazione che lo accompagna calcola il costo delle misure solo nel lavoro privato.
Nasce da qui la richiesta parlamentare, in particolare della commissione Lavoro della Camera, che nel parere obbligatorio sul nuovo provvedimento pone come prima condizione la richiesta di «chiarire che il regime descritto nel decreto legislativo emanando è applicabile anche al pubblico impiego, per evitare contenzioso da discriminazione». E per evitare di perpetuare una disparità di cui è oggettivamente impossibile trovare una ragione.
Tanto più che se con l’estensione del congedo di paternità a 10 giorni voluta nell’ultima legge di bilancio dalla ministra per le Pari opportunità e la famiglia Elena Bonetti (Iv) ha prodotto un passo in avanti importante, la regola Ue è più completa e permette anche di applicare il congedo due mesi prima della «data presunta di parto» quando il figlio nasce prematuro. Anche, è lecito sperare, se il papà lavora al ministero.