La corsa contro il tempo ha prodotto il risultato: il decreto (varato dal governo Letta) sull’abolizione del finanziamento pubblico diretto ai partiti è diventato legge ieri con 312 sì, 142 no e 5 astenuti. Favorevoli Pd, Fi, Ncd, Scelta civica e Per l’Italia; contrari M5S, Sel e Lega; astensione dai deputati di Fdi.
Non è previsto un addio immediato ai fondi pubblici, ma un “decalage” progressivo in tre anni: il fondo di 91 milioni di euro annui subirà un taglio del 25% quest’anno, del 50% il prossimo e del 75% nel 2016. Dal 2017 il finanziamento ai partiti sarà solo di tipo indiretto. Saranno cioè i cittadini a muovere le leve che porteranno quattrini nelle casse dei singoli movimenti. Come? Innanzitutto attraverso il meccanismo del 2 per mille della propria imposta sul reddito. A partire dal 730 che occorrerà compilare fra qualche mese, ogni cittadino potrà decidere se destinare il 2 per mille a un singolo partito (per il 2014 è prevista una copertura di 7,75 milioni che salirà fino a 45,1 milioni nel 2017). O ancora potrà donare fondi ai movimenti politici ottenendo una detrazione pari al 26% per gli importi da 30 euro a 30mila euro. Ogni cittadino o società non potrà donare più di 100mila euro all’anno. La legge stima che il sistema dei rimborsi fiscali produrrà un costo di 15,65 milioni a partire dal 2016: le spese saranno coperte con il taglio dei rimborsi elettorali. Entro 60 giorni, poi, un Dpcm dovrà regolamentare le modalità e i tetti delle donazioni per i gruppi di società tra loro controllate.
Per ottenere i finanziamenti i partiti devono garantire una serie di condizioni: l’adozione di statuti che indichino con chiarezza organi dirigenti, modalità della loro elezione, durata degli incarichi, garanzia delle minoranze interne. Sarà inoltre istituito il registro nazionale dei partiti politici che accedono ai benefici previsti dalla legge, consultabile dal sito internet del Parlamento, ciascun partito dovrà anche dotarsi di un sito internet dal quale devono risultare le informazioni relative all’assetto statutario, agli organi associativi, al funzionamento interno e ai bilanci. E ancora: saranno estese le funzioni di controllo della commissione di garanzia sui bilanci dei partiti anche al rispetto delle prescrizioni sul contenuto statutario e sulla trasparenza e saranno ridotte le risorse ai partiti che non rispettano le norme in materia di parità di accesso alle cariche elettive.
I rimborsi statali decrescenti che i partiti continueranno a incassare fino al 2016 saranno decurtati della quota relativa a europee e regionali in quanto il testo della legge (contrariamente alla relazione tecnica) parla di contributi solo per le elezioni politiche. Altro aggravio: i partiti dovranno pagare l’Imu relativa alle loro sedi in quanto ne è saltata l’esenzione. Potranno però contare sui fondi statali per gli ammortizzatori sociali in favore dei dipendenti che dovessero perdere il posto a seguito della ristrutturazione che si renderà necessaria dopo i tagli. La legge prevede infine che dovranno essere rese pubbliche le dichiarazioni dei redditi dei tesorieri e dei leader di partiti e movimenti che hanno almeno un rappresentante alla Camera o al Senato. Norma pensata per fare in modo che anche Grillo e Casaleggio rendano noti i loro 730.
Ieri nell’aula della Camera lo scontro è stato durissimo. «È la bugia numero uno di Renzi» hanno scritto i grillini sui cartelli che hanno issato in Aula. Tesi respinta dal Pd: «Da oggi si cambia davvero – ha commentato il capogruppo dem in commissione Affari costituzionali di Montecitorio Emanuele Fiano –. Abbiamo abolito il finanziamento pubblico diretto. Da oggi saranno i cittadini a decidere se e quanto finanziare i partiti».
Il Sole 24 Ore – 21 febbraio 2014