Matteo Prioschi. Nessun intervento di ampia portata in ambito previdenziale per aumentare la flessibilità del pensionamento. Per evitare di complicare ulteriormente la situazione e compiere errori, il governo alla fine ha preferito rimandare tutto al (prossimo) futuro. E per quanto riguarda il presente, le misure contenute nel disegno di legge di Stabilità 2016 devono farei i conti con le risorse a disposizione.
Dove si è potuto (esodati) si è fatto ricorso fin dove consentito dalle regole di bilancio, ai risparmi degli anni passati. Per gli altri interventi il conto a carico dei pensionati stessi potrebbe essere presentato nel 2017.
Per quanto riguarda la flessibilità, il Ddl introduce comunque la possibilità di ridurre l’orario di lavoro con l’approssimarsi della maturazione dei requisiti minimi di vecchiaia. Quest’ultimo è una sorta di scivolo volontario verso la pensione che, a differenza delle ipotesi circolate nei mesi scorsi, non prevede una decurtazione dell’assegno previdenziale una volta raggiunti i requisiti. Tuttavia il lavoratore dovrà convivere con un taglio dello stipendio, seppur inferiore alle ore non lavorate, nel periodo in cui svolgerà attività part time.
Rientra nell’ambito della flessibilità, questo sì con un taglio dell’assegno previdenziale, l’intervento effettuato sulla cosiddetta “opzione donna”. All’opzione potranno accedere anche le donne che maturano i requisiti, e non la decorrenza, quest’anno. Su questo fronte, però, sono già stati annunciati emendamenti da parte della Lega Nord per eliminare l’adeguamento all’aspettativa di vita, quindi per concedere l’opzione già a 57 o 58 anni, come previsto in origine dalla legge 243/2004.
I 26.300 nuovi posti contenuti nell’ultimo, così dovrebbe essere, intervento di salvaguardia sono inferiori ai 50.000 richiesti dai comitati spontanei che rappresentano i più penalizzati dalla riforma Monti-Fornero. Ma, a dire il vero, i numeri finora testimoniano che le domande di salvaguardia presentate e approvate sono state meno delle previsioni.
Ulteriore intervento tampone per i professionisti iscritti in maniera esclusiva alla gestione separata dell’Inps: anche nel 2016 l’aliquota contributiva sarà del 27% invece di crescere come stabilito dalla legge 92/2012.
Per chi è già in pensione, invece, è stato previsto l’ampliamento della no tax area: per gli under 75 passerà da 7.500 a 7.750, mentre per chi ha almeno 75 anni salirà da 7.750 a 8.000 euro. Questa modifica al Testo unico delle imposte sui redditi (Dpr 917/1986) si applicherà dal 2017.
Ma poiché questi seppur non rivoluzionari interventi hanno un costo, sempre dal 2017, invece del ripristino della più favorevole perequazione stabilita dalla legge 388/2000, potrebbe rivivere il meccanismo introdotto dal governo Letta a fine 2013. Qui il condizionale è d’obbligo, perché in base alle bozze del disegno di legge il ritorno della “perequazione Letta” è certo, mentre il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha affermato che scatterà solo se non si troveranno fondi sufficienti nel corso del 2016.
IL REGIME PER LE DONNE Opzione-contributivo con età e contributi entro il 2015
Fabio Venanzi. Il disegno di legge Stabilità sembra mettere fine alla questione relativa alle cosiddette donne optanti. Infatti, salvi gli adeguamenti legati alla speranza di vita registrati nel triennio 2013/2015, sono ammesse al regime sperimentale anche coloro che raggiungeranno il requisito anagrafico e contributivo entro il 31 dicembre 2015 e che, a causa dell’applicazione della finestra mobile, potrebbero riscuotere il primo assegno pensionistico oltre tale data. Ripercorriamo cosa è successo negli anni. L’articolo 1, comma 9 della legge 243/2004 ha previsto, in via sperimentale e per le sole lavoratrici, la possibilità di accedere alla pensione di anzianità con 57-58 anni di età e 35 anni di contributi a condizione che le stesse accettassero un assegno calcolato esclusivamente con le regole del sistema contributivo e, di conseguenza, di importo più basso rispetto a quello ordinariamente spettante. Tale facoltà è esercitabile fino al 31 dicembre 2015.
Il ricorso a tale possibilità ha subito notevoli incrementi dal 2012, quando all’indomani della riforma Monti-Fornero (Dl 201/2011), i requisiti di accesso alla pensione sono diventati più severi.Con le circolari 35 e 37 del 2012 emanate previo parere del ministero del Lavoro, l’Inps ha precisato che al requisito anagrafico deve essere applicata anche la speranza di vita e quindi dal 2013 sono necessari 57 anni 3 mesi per le dipendenti e 58 anni 3 mesi per le autonome. La decorrenza del trattamento pensionistico, inoltre, avrebbe dovuto collocarsi entro il 31 dicembre 2015 per verificare l’esito della sperimentazione e quindi la finestra mobile di 12 mesi (18 per le autonome) deve risultare già aperta alla stessa data. Significa che solo le lavoratrici autonome nate entro il 28 febbraio 1956 e con 35 anni entro il 31 maggio 2014 avrebbero avuto tale possibilità. Le lavoratrici dipendenti del settore privato dovevano essere nate entro il 31 agosto 1957 con almeno 35 anni di contributi entro il 30 novembre 2014 oppure essere nate entro il 30 settembre 1957 (se appartenenti al pubblico impiego) con almeno 35 anni di contributi entro il 30 dicembre 2014. La diversità delle date di maturazione dei requisiti in capo alle lavoratrici dipendenti risente delle peculiarità delle singole gestioni dove sono iscritte.
A fine novembre 2014, l’Inps – con il messaggio 9231/2014 – ha dato una lettura più estensiva della norma. Fino ad allora si era ritenuto che l’opzione dovesse essere esercitata entro il 31 dicembre 2015; per l’Inps, invece, fermi i requisiti anagrafici e contributivi nonché la risoluzione del rapporto di lavoro, l’accesso sarebbe potuto avvenire anche dopo il 2015, a patto che la prima decorrenza teorica del trattamento pensionistico si collochi entro il 31 dicembre 2015. A distanza di pochi giorni, con il messaggio 9304/2014, l’Istituto previdenziale aveva invitato le sedi provinciali a non rigettare le domande di coloro che avrebbero perfezionato i requisiti entro il 2015 e per le quali, a causa della finestra mobile, la prima decorrenza utile si collocava oltre data, in attesa che il ministero fornisse chiarimenti. A questo punto l’intervento legislativo riesce a superare quasi tutte le criticità rilevate, con l’eccezione dell’aumento dei requisiti dovuto all’aspettativa di vita.
LA CLAUSOLA Ritorna la perequazione «Letta» se mancano i fondi
La legge di Stabilità potrebbe prorogare l’applicazione del meccanismo di rivalutazione automatica delle pensioni introdotta dal governo Letta a fine 2013.
La sentenza 70/2015 della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittimo il comma 25 dell’articolo 24 del decreto legge 201/2011, con cui per gli anni 2012 e 2013 la rivalutazione è stata riconosciuta al 100%, esclusivamente alle pensioni di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo Inps, il governo Renzi ha emanato il decreto legge 65/2015 con il quale ha previsto la restituzione parziale degli arretrati dovuti per il 2012 e 2013, per i trattamenti complessivi fino a sei volte l’importo minimo, escludendo la restituzione di qualunque arretrato per i trattamenti superiori a 6 volte il minimo e gestisce, con diversa percentuale, l’attribuzione della rivalutazione per gli anni 2012 e 2013.
Chiusa questa fase, dovrebbe ritornare in vigore, dal 2017, il meccanismo previsto dall’articolo 69 della legge 388/2000, e cioè l’attribuzione della rivalutazione del 100% per la fascia di trattamenti complessivi entro 3 volte il trattamento minimo Inps, il 90% per la fascia oltre 3 e fino a 5 volte il minimo e il 75% per la fascia oltre 5 volte il minimo.
Tuttavia la legge di Stabilità 2016, al fine di concorrere alla copertura dei maggiori oneri derivanti dall’opzione donna e anche in funzione della salvaguardia della solidarietà intergenerazionale, potrebbe estendere fino al 2018 le disposizioni dell’articolo 1, comma 483 della legge 147/2013 in materia di rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici. In conferenza stampa il ministro Giuliano Poletti ha affermato che questa clausola scatterebbe solo se nel 2016 non verranno reperite in altro modo le somme necessarie.
La legge 147/2013 prevedeva l’attribuzione della rivalutazione delle pensioni con un importo secco, sulla base dell’importo complessivo dei trattamenti pensionistici percepiti. Di conseguenza anche per gli anni 2017 e 2018 la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici sarebbe riconosciuta:
al 100% per i trattamenti pensionistici complessivamente pari o inferiori a tre volte il trattamento minimo Inps;
al 95% per i trattamenti superiori a tre e pari o inferiori a quattro volte il minimo;
al 75% per i trattamenti superiori a quattro e pari o inferiori a cinque volte il minimo;
al 50% per i trattamenti superiori a cinque volte e pari o inferiori a sei volte il minimo;
al 45%, per ciascuno degli anni 2016, 2017, e 2018 per i trattamenti superiori a sei volte il minimo.
NELLA SANITÀ DEBUTTA LA CURA DEI COSTI STANDARD
Barbara Gobbi. Tra giro di vite sugli acquisti, piani di rientro per gli ospedali in rosso, nuovi livelli essenziali di assistenza e costi standard al debutto, la sanità è protagonista anche della manovra 2016.
Si parte dal “contributo” alla spending review targata Yoram Gutgeld, che nel complesso impegna 5,8 miliardi: il cuore, al netto del mancato incremento per 2 miliardi del Fondo sanitario nazionale, è nei risparmi attesi – tra 800 milioni e un miliardo – dalla centralizzazione degli acquisti di beni e servizi e dalla valorizzazione del ruolo di Consip.
Nel 2016 il Fondo per Asl e ospedali si riduce dunque dai 113 miliardi preventivati a 111 miliardi. Che diventeranno 110,2 miliardi, al netto degli 800 milioni riservati ai nuovi livelli essenziali di assistenza, inseriti in manovra su richiesta della ministra della Salute, Beatrice Lorenzin. Poi, sono da mettere in conto il rinnovo dei contratti pubblici, imposto dalla Consulta dopo sei anni di stand-by, e il finanziamento di capitoli di spesa cruciali, come il fondo farmaci innovativi istituito lo scorso anno.
Ai governatori che domani si incontreranno – carte e (se ci saranno) tabelle alla mano – per esprimere il giudizio politico sulla legge di Stabilità, l’orizzonte si va facendo più chiaro: torna infatti alla ribalta il «contributo alla finanza pubblica» che già la manovra 2015 aveva imposto alle regioni nella misura di 4 miliardi e che quest’anno ha comportato un taglio da 2,35 mld per la sanità. Nel 2016 si replica: le regioni dovranno contribuire per altri 4 miliardi nel 2017 e per 5,5 miliardi per ciascuno degli anni 2018 e 2019. Cifre tendenziali, perché dal 2017 il ministero punterebbe sull’incremento del Fondo per almeno un miliardo, ma i governatori sono in allerta.
Intanto, quest’anno l’efficientamento passerà anche per ricette innovative, come i piani triennali di rientro per gli enti Ssn in rosso, che saranno penalizzati in caso di risultati negativi, e la costituzione delle “aziende sanitarie uniche”, frutto dell’incorporazione nelle Asl delle aziende ospedaliero-universitarie.
Ma la manovra 2016 significa anche più risorse (150 milioni) per la non autosufficienza (cui oggi vanno 400 milioni) e la conferma di 6mila borse di specializzazione per i giovani medici.
Restano fuori le nuove misure sulla responsabilità professionale dei camici bianchi, che la commissione Affari sociali della Camera sta definendo: un emendamento le inserirà in corsa nella Stabilità. L’obiettivo è contrastare il fenomeno della medicina difensiva e tendere la mano ai dottori, che proprio oggi si riuniscono a Roma per gli Stati generali della professione. La piattaforma? Difesa del ruolo del medico, diseguaglianze regionali nell’accesso alla salute, tutela dei giovani, contrasto del precariato,appropriatezza prescrittiva.
Il Sole 24 Ore – 21 ottobre 2015