Meno tre. Venerdì 15 settembre è una data che i parlamentari esordienti hanno cerchiato in rosso: quel giorno matureranno il diritto alla pensione, che scocca dopo 4 anni 6 mesi e un giorno di legislatura. Uno dei motivi, secondo i più maliziosi, per cui alla fine non si è andati a votare dopo il referendum dello scorso 4 dicembre. Anche perché l’esercito di chi ne avrà diritto è il più folto del Parlamento: 608 deputati e senatori, 417 su 630 a Montecitorio, 191 su 315 a Palazzo Madama. A 65 anni prenderanno un assegno mensile di circa 950 euro, «netti », assicura il segretario d’aula del Pd al Senato Francesco Russo. Altri parlamentari sostengono invece che saranno lordi.
E oggi al Senato si decidono i tempi della legge Richetti, l’altra battaglia sul contenimento dei costi della politica, che taglierà del 40% la pensione ai 2600 ex parlamentari che già ne beneficiano. La legge, approvata a luglio alla Camera, sarà incardinata nella Commissione Affari costituzionali. Il relatore sarà Salvatore Torrisi (Ncd). Dice Russo: «Non so prevedere i tempi del suo arrivo in aula. Dopo tutto quello che è successo quest’estate tra gli alfaniani non sappiamo neanche che numeri ha ancora la maggioranza». Scontato che il testo, che ricalcola il vitalizio su base contributiva, sarà cambiato e rispedito alla Camera per evitare bocciature della Consulta, come conferma Russo. Se è così difficilmente potrà essere approvato prima delle elezioni.
Ma torniamo alla pensione per i debuttanti. «Io non ci rinuncio », spiega Mariano Rabino, 47 anni, il presidente di Scelta Civica, un bancario di Alba («guadagnavo 2400 euro»), catapultato alla Camera con la lista Monti. «Chance di rielezione? I sondaggi ci stimano allo 0,5%, direi che è dura. Nel 2005 rinunciai al vitalizio che avevo maturato in consiglio regionale in Piemonte: quello era un privilegio, questo invece è una prerogativa di garanzia delle nostre libertà. Ed è legata ai contributi che ho versato».
Quanti esattamente? «Ci hanno detratto circa 800 euro al mese », calcola la senatrice renzianissima Nadia Ginetti, 48 anni. «Volevo rinunciare a questa pensione aggiuntiva, che non è un vitalizio, ma dagli uffici mi hanno spiegato che non si può proprio. Non trovo giusto che sia obbligatorio. Da sindaco di Corciano, 22mila abitanti, guadagnavo 1800 euro e stavo in prima fila ogni giorno, ora prendo poco meno di 5000 euro di indennità più 9000 euro forfettari per i rimborsi e le spese degli assistenti. Bisognerebbe pagare di più un sindaco, e meno un parlamentare ». «Nessun altro lavoro garantisce una pensione dopo un’attività di 4 anni e 6 mesi», denuncia Mattia Fantinati, 43 anni, ingegnere grillino di Verona. «Io prima di mettere piede a Montecitorio guadagnavo circa 2500 euro al mese. La pensione è un privilegio di cui non capisco il motivo », dice Fantinati, uno dei deputati più vicini al candidato premier in pectore Luigi Di Maio. «Veramente a buona parte dei cinquestelle la legge va bene così: erano a reddito zero quando furono eletti», punzecchia il catanese Tommaso Currò, 44 anni, fisico alla STMicroeletronics, fuoriuscito M5s, ora nel Pd. «Dopodiché per me questa legge si può tranquillamente abolire. Io ho già i contributi versati per 11 anni, e quando sarò fuori di qui un altro lavoro ce l’ho già: ho vinto il concorso per insegnare matematica al liceo, mi hanno assegnato una cattedra in provincia di Como ».
E per chi non ce l’aveva un impiego prima dell’elezione? Lara Ricciatti, Mdp, 32 anni, marchigiana di Fano, mamma di un bimbo di tre anni, quando ha vinto le primarie con Sel stava scrivendo la sua tesi sulla governance europea. Era il dicembre 2012. Si era mantenuta agli studi in scienze politiche facendo la babysitter, la guardarobiera in discoteca e la cameriera. «Vengo dal precariato e ci tornerò. Vuol sapere cosa penso che a 65 anni mi daranno una pensione per questi anni in Parlamento? Non è una priorità, né mi rallegra. La politica non è una professione ».
Repubblica – 12 settembre 2017