(di Milena Gabanelli e Claudia Voltattorni – corriere.it) – Qualche volta in aula volano pugni e schiaffi. Più spesso è desolatamente vuota. Questa è l’immagine che il Parlamento offre ai cittadini italiani. Fra i due eccessi c’è, o ci dovrebbe essere, il lavoro di 400 deputati e 200 senatori, giustamente ben retribuito perché devono occuparsi esclusivamente dell’interesse del Paese e non essere corruttibili. Un parlamentare incassa ogni mese tra i 13 e i 15 mila euro. L’articolo 69 della Costituzione prevede che l’indennità sia stabilita per legge. Oggi la cifra si aggira intorno ai 5 mila euro netti. Il resto sono rimborsi per l’attività parlamentare, che vanno dalla diaria (3.500 euro) al rimborso spese (3690 euro per i deputati, 5.830 per i senatori) in parte da documentare e in parte forfettarie; dai 3323 a 3395 euro trimestrali per le spese di viaggio, ai 1200 euro l’anno per il telefono (solo i deputati).
I benefit
Si aggiunge il diritto a percepire la pensione dopo 5 anni di legislatura, al compimento dei 65 anni di età e benefit vari fra cui gli interessi sul conto corrente: il 5,44% per i deputati e dipendenti della Camera con il c/c presso Banca Intesa a Montecitorio, e il 3,50% per i senatori con il conto BNP Paribas. Un privilegio difficile da digerire per tutti i comuni mortali che sui depositi a vista ricevono fra lo 0,20 e lo 0,50%. Ma tant’è. L’articolo 67 della Costituzione ricorda che «ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato», il che significa che la partecipazione ai lavori di Camera e Senato non è un obbligo lavorativo, bensì una responsabilità dell’eletto verso il suo partito e verso chi lo ha nominato: a loro deve rispondere della sua attività parlamentare. E delle sue presenze e assenze.
Le regole
I regolamenti di Camera e Senato prevedono penalizzazioni in caso di assenza da sedute e Commissioni. In aula si contano solo le sedute in cui si vota e si deve essere presenti almeno al 30% delle votazioni giornaliere per evitare decurtazioni. Questo significa che nell’arco della giornata si possono saltare il 70% delle votazioni senza dare alcuna spiegazione. La presenza è certa perché il voto è elettronico. Lo stesso meccanismo vale per i lavori delle Commissioni (Giustizia, Affari Esteri, Giustizia, Difesa, Bilancio, ecc) dove la presenza del 30% è calcolata su base mensile, ma viene rilevata con il tesserino elettronico solo in ingresso e non in uscita. Inoltre i resoconti dei lavori non sono così dettagliati e il voto è per alzata di mano. Sia in aula sia in Commissione, però, il parlamentare assente è considerato presente se giustificato. Le motivazioni ammesse: maternità obbligatoria, congedo di paternità, ricovero ospedaliero, malattia certificata, lutto per un congiunto (3 giorni), assistenza a un familiare invalido (3 giorni al mese). A validare le giustificazioni è il Collegio dei questori.
Chi controlla?
I membri del Governo in aula si vedono poco (sono una sessantina fra deputati e senatori), ma sono considerati in «missione» e, quindi, assenti giustificati. Però il ventaglio delle missioni è molto ampio: ognuna deve essere motivata e i parlamentari devono inviare al Servizio Assemblea dell’Aula i documenti sull’effettiva partecipazione. Ma queste informazioni non sono pubbliche e non è quindi possibile sapere se il tal giorno l’onorevole Tizio o Caio era effettivamente impegnato in missione. Nella categoria «missioni» rientrano gli incarichi affidati da Senato e Camera ai parlamentari per funzioni istituzionali, partecipazioni alle delegazioni delle assemblee internazionali o per i lavori nelle Commissioni. Spiega Luca Dal Poggetto, analista politico di Openpolis: «Nelle Commissioni c’è una grave carenza di trasparenza, i dati non sono tutti pubblici e non si possono verificare le presenze: da tempo chiediamo un intervento su questo, ma al momento l’argomento non è all’ordine del giorno». Nella pratica un parlamentare può non essere presente in aula e giustificato perché presente in Commissione, ma nella realtà stare da qualche altra parte a farsi gli affari suoi. Va precisato che anche il partito può giustificare i propri senatori e deputati. E lo fa molto spesso.
Assenti giustificati
I dati più completi sono quelli elaborati da Openpolis. Nonostante i lavori parlamentari si svolgano da martedì a giovedì (salve rare eccezioni) e nonostante le maglie larghe, nell’attuale legislatura l’assenza media è del 30,6% a Montecitorio e del 21,6% a Palazzo Madama. C’è il caso del deputato siciliano Antonino Minardo (transitato da Forza Italia, poi Lega e ora al Gruppo Misto): alla Camera ha partecipato a 47 votazioni (0,63%). Ma essendo Presidente della Commissione Difesa risulta in missione per la maggior parte del tempo, 7.419 volte, il che rende la sua percentuale di presenza altissima: 99,44%. Anche il deputato Giulio Tremonti (Fratelli d’Italia) è spessissimo in missione: 6.500 volte. Conta 266 votazioni in aula, pari al 3,54% del totale, ma la percentuale di presenza è del 90,12% giustificato dal fatto che è Presidente della Commissione Affari esteri, membro della commissione Finanze, e fa parte della Delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare della Nato. Il senatore Guido Castelli (Fdi) commissario alla ricostruzione aree colpite dal terremoto, ha una percentuale di presenza del 14,64%, ma alla fine risulta presente per l’86,69%. Il punto è: chi verifica l’effettiva partecipazione alle missioni? Dice Dal Poggetto: «il margine di discrezionalità è molto ampio e non è possibile sapere se alla fine si tratti di missioni camuffate o reali». C’è anche chi di incarichi non ne ha, come il senatore Claudio Borghi (Lega): presenza del 35,10%, con però un buon numero di congedi per cui è presente per l’87,57 %. Ci sono poi i leader di partito: Elly Schlein (Pd) e Giuseppe Conte (M5S) registrano rispettivamente il 24,2% e il 26,74% di presenze, mentre Matteo Renzi (Italia Viva) e Carlo Calenda (Azione) hanno il 53,59% e il 51,86%. Le assenze ovviamente giustificate.
Angelucci e Fascina
Sul podio sale Antonio Angelucci, deputato della Lega: dall’inizio della XIX Legislatura, cioè dal 13 ottobre 2022, a fine maggio 2024 è stato presente a 13 votazioni in Aula su 7508, pari al 99,83% di assenze. È membro della Commissione Affari esteri e comunitari, ma non è stato mai in missione, eppure risulta giustificato per l’85,92% e pertanto non subirà alcuna decurtazione. Non ha fatto meglio nella legislazione precedente (2018-2022) da deputato di Forza Italia: 3,14% di presenze con 371 votazioni su 11.830. Peggiorata anche la «prestazione» della deputata di Forza Italia Marta Fascina, compagna di Silvio Berlusconi: in questa legislatura è risultata presente appena il 7,17% delle volte, con una percentuale di assenza del 92,83% delle votazioni. È segretaria della Commissione Difesa, ma non ha mai partecipato ad alcuna missione, però è stata «giustificata» l’80,26% delle volte.
Tutti salvi
Lo scorso aprile il deputato di Alleanza Verdi Sinistra Angelo Bonelli ha scritto ai presidenti di Senato e Camera Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana per chiedere di intervenire contro l’assenteismo parlamentare con un tetto massimo alle assenze e prevedendo la decadenza dal mandato. Gli ha risposto solo Fontana ricordando le norme già in vigore sulla decurtazione e l’articolo 67 della Costituzione sull’assenza di vincolo di mandato. Le norme in vigore prevedono che per ogni giorno di assenza non giustificata vengano decurtati dai 3500 euro di diaria 206,58 euro per i deputati e 224,9 per i senatori a cui possono aggiungersi fino a 500 euro mensili in relazione alla percentuale di assenze da giunte e commissioni. A conti fatti però, fra presenze vere per cui basta il 30% e assenze giustificate, praticamente nessuno ci rimette un euro. Il cittadino può ringraziare il partito che candida l’assenteista cronico, non vigila sulla sua effettiva partecipazione ai lavori parlamentari, e gli copre pure le spalle. Abdicando così alla sua funzione di garante verso l’elettore.
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