Quello di genere è uno dei tre gap che l’Italia deve recuperare se vuole crescere, insieme a quello territoriale e generazionale, come ha spiegato il ministro dell’Economia, Daniele Franco, presentando il piano alla Commissione europea.
Tanto più dopo l’ulteriore svantaggio sul fronte lavorativo determinato, per le donne, dal Covid-19: dei 565mila occupati in meno registrati a marzo 2021 rispetto allo stesso mese del 2020, 377mila sono donne (il 66%).
Con la certificazione di parità, la consapevolezza di costruire un contesto nel mondo del lavoro che sappia introdurre elementi di equità tra lavoratori e lavoratrici passa dal piano culturale a quello economico e sociale. Per la prima volta, dunque, non solo si prende atto di un forte divario tra i generi, innanzitutto sul piano retributivo – il gap tra gli stipendi mensili di uomini e donne in Italia è del 14,3% (3,7% se si considera la retribuzione oraria)- ma si focalizza la necessità di creare un sistema che, come si legge nel Pnrr, «accompagni e incentivi le imprese ad adottare policy adeguate a ridurre il gap di genere in tutte le aree maggiormente critiche».
Oltre a lavorare meno degli uomini (il tasso di occupazione femminile è al 49%, contro il 67,2% dei maschi), le donne hanno anche buste paga più leggere, «principalmente – spiega Chiara Tronchin della Fondazione Leone Moressa – perché lavorano un numero inferiore di ore, svolgendo attività con orari più brevi, o in part-time. Le donne poi – aggiunge – sono meno disponibili al lavoro straordinario, per cui sono “segregate” nei lavori meno remunerativi e più temporanei, e, a parità di qualifiche, ottengono meno avanzamenti di carriera rispetto ai colleghi».
Gli obiettivi
Ecco perché sul fronte delle criticità da rimuovere, gli interventi ipotizzati dal Pnrr con la certificazione di parità sono diversi: dalla possibilità di porre uguali condizioni nei percorsi di carriera, al fatto che a parità di compentenze e di ruolo non ci siano penalizzazioni di stipendio, agli interventi di sostegno alla maternità, che trasformino quella che troppo spesso è una fase di arresto della carriera per molte donne, semplicemente in una scelta di vita.
La tabella di marcia
Per approdare alla certificazione di parità nelle aziende, il Pnrr fissa tre step. Il primo è l’istituzione di un tavolo di lavoro sulla «Certificazione di genere delle imprese», presso il dipartimento Pari Opportunità».
Il secondo è la creazione di una piattaforma di raccolta di dati disaggregati per genere e di informazioni sulla certificazione, e dell’albo degli enti accreditati.
Quindi, dal secondo trimestre del 2022, il sistema di certificazione sarà aperto a tutte le imprese: grandi, medie, piccole e microimprese. Una particolare attenzione sarà riservata a queste ultime: nella fase sperimentale che durerà fino a metà 2026, la certificazione sarà infatti agevolata per le imprese di medie, piccole e micro-dimensioni, e supportata da servizi di accompagnamento e assistenza.
Questo sistema di certificazione traduce in pratica una delle proposte elaborate dalla commissione «Donne per un nuovo rinascimento», costituita dalla ministra per le Pari opportunità Elena Bonetti nel 2020, dopo la prima ondata della pandemia di Covid-19. Si tratta di una task force di 12 donne provenienti dal mondo accademico, aziendale, della cultura e della ricerca, istituita per elaborare proposte concrete focalizzate sul rilancio del Paese dopo l’emergenza epidemiologica.
«Aver introdotto nel Pnrr una certificazione di parità – spiega la ministra Bonetti – pone innanzitutto un tema di valore: parità di genere nei processi e nei luoghi lavorativi non è soltanto un tema di garanzia di diritti e, quindi, di giustizia. È anche una scelta conveniente da un punto di vista strategico, perché permette di realizzare un modello di sviluppo davvero integrato e integrale. Più parità di genere vuol dire per un’azienda più valore, più crescita, più ricchezza: a maggior ragione, è fondamentale renderla misurabile. Proprio l’assenza di criteri e parametri di valutazione è tra le cause che fino ad oggi hanno reso poco efficace la promozione di una effettiva parità».
Le premialità per le aziende
Certificare la parità di genere dovrà consentire alle aziende che aderiscono di accedere a sgravi e agevolazioni: «La certificazione – spiega ancora la ministra – restituirà dati comparabili sul grado di gender equality delle aziende e questo ci permetterà non solo di riconoscere le realtà più virtuose, ma di provvedere eventualmente a specifiche forme di premialità, di natura fiscale ma anche in termini di qualificazione nell’accesso a bandi e fondi. Un meccanismo che è auspicabile inneschi nel tempo anche un cambiamento “ambientale”, per cui a un alto indice di parità possa naturalmente corrispondere una maggiore attrattività dell’azienda».