Alla fine si è arreso anche il ministero dell’Istruzione. Sarà possibile per chiunque lo vorrà, portarsi il pasto da casa. Una rivoluzione che, come hanno documentato i giornali, è partita da Torino, dove il caso della «schiscetta» a scuola è arrivato in tribunale, poi in Corte d’Appello, con sentenze favorevoli.
Sono in meno a sapere che c’è stata un’altra «città-laboratorio» che ha sperimentato, già da settembre, la possibilità di lasciare ai genitori la libertà di scelta su come nutrire i propri figli anche «a distanza». È Verona. Se la cosa è meno nota è perché negli ambienti scolastici scaligeri ci si è mossi con molta cautela. Fatto sta che negli istituti comprensivi della città è accaduto qualcosa senza paragoni nel resto della regione: dapprima si è mossa una singola scuola (le elementari Nievo, seguite dalle medie Catullo, entrambe nel comprensivo Valdonega) poi è stato stilato un regolamento che pone dei precisi paletti. Il modello è poi stato imitato da altre dieci scuole nel territorio comunale, con tanto di burocrazia espletata e liberatorie firmate. Al punto che è noto il numero delle famiglie che hanno optato per questa scelta: sono in tutto 108, divise, per l’appunto, in dodici plessi. Non sono moltissime se confrontate con quelle che usufruiscono del servizio mensa nelle stesse scuole: 1820, poco meno del 6%. All’Ic Valdonega, dove è partita la «battaglia» da parte di alcuni genitori si tocca un picco del 10% nelle due scuole interessate: ne hanno fatto richiesta quindici famiglie al Catullo e venti alle Nievo. Il regolamento «veronese» è stato inoltrato all’ufficio scolastico regionale che lo userà come riferimento nel corso del prossimo anno scolastico, quando nessuna scuola, vista la giurisprudenza e la resa del Miur si potrà opporre.
Come funziona? «Innanzitutto – spiega Lidia Marcazzan, preside dell’Ic Valdonega – va precisato che non si tratta di un’opzione da scegliere quando si vuole e come fa comodo ma deve essere la conseguenza di una decisione ben ponderata. Per questo abbiamo fatto indicare alle famiglie che hanno scelto di avvalersene delle motivazioni. In molti hanno dichiarato di farlo per questioni nutrizionali: come intolleranze e adesione a diete particolari. Alcuni famiglie vegetariane e vegane hanno scelto, infatti, in questo modo». Il pasto deve essere rigorosamente consegnato entro le 8: non esiste che una mamma si presenti a scuola a mezzogiorno. Questo significa che, mancando forni a microonde, andrà necessariamente consumato freddo. «Per questo motivo vengono accettati solo determinati tipi di pasti. Insalate di riso, ad esempio, ma anche focacce, piadine e panini, purché siano adeguatamente farciti. Vietate patatine fritte, ketchup e cibi spazzatura. Fortunatamente abbiamo genitori intelligenti che hanno capito le misure che è stato necessario adottare». Le ragioni della scelta da parte delle famiglie, tuttavia, non sono esclusivamente di natura alimentare. «Pesa, anche se un po’ meno nella nostra zona, anche la questione economica – prosegue Marcazzan -. A Torino è stato proprio questo il “movente” principale. Altri hanno delle obiezioni sulla natura del servizio da parte del Comune, ma a queste cerchiamo di rispondere con la massima trasparenza. In più occasioni sono state apportate delle modifiche, ad esempio alla tipologia di pane scelto, su segnalazione dei genitori». Il regolamento, non è stato, inoltre, deciso semplicemente dalla scuola, ma con la consulenza degli esperti dell’Ufficio scolastico provinciale e del Sian, il servizio igiene alimenti dell’Usl 20 (ora 9). Tutto bene? «Siamo ancora distanti dalla parità di scelta – avverte Guido Beghini, l’avvocato-genitore che con la sua richiesta ufficiale ha reso possibile l’avvio del servizio – ma almeno si è arrivati a un’ampia tolleranza, ma non si sa per quanto». Intanto, nei moduli d’iscrizione per il nuovo anno scolastico, l’opzione «porto il pasto da casa» non è ancora prevista.
Il Corriere del Veneto– 28 marzo 2017