Potrebbero riempire due stadi, ma sono rifiuti e vanno buttati via. A calcolarlo a spanne, ogni giorno potrebbe riempire due campi di calcio. Tredici mila quintali di pane sono tanti. Eppure sono buttati via. Letteralmente. Perché quando vengono ritirati dai supermercati sono ufficialmente, e con tanto di “timbro” del ministro della Salute, rifiuti.
L’obiezione più ovvia? Perché quel pane non lo danno ai poveri (e secondo gli ultimi dati in Italia ce ne sono 8 milioni)? Perché non lo regalano alle mense della Caritas? Semplice: perché lo vieta la legge. In particolare, la circolare del ministero della Salute del 20 marzo 2003 che impone a chi lo ha prodotto di smaltire l’invenduto.
La storia (raccontata nella puntata di stasera di Fischia il vento , il programma di Gad Lerner in onda alle 21.30 su La Effe, Sky canale 39 e sul sito di Repubblica tv) inizia alle cinque di mattina. È ancora buio. Maurizio chiude le porte del suo furgone e inizia il giro di consegne per pagnotte, rosette e baguette preparate durante la notte. Dentro ci sono farina, acqua, lievito madre, energia elettrica, carburante, ore di vita, la radio che parla della crisi, i calendari infarinati con le donne nude e le pagnotte bianche e tonde che entrano in forno. Maurizio consegna il fresco e prende ciò che è avanzato dal giorno prima. “Il reso” non gli verrà pagato: è buono, ma finirà nell’immondizia. «Colpa delle condizioni poste dalla grande distribuzione ai panificatori» spiega Claudio Conti, presidente di Assipan. «I colleghi hanno iniziato a dire sì ai supermercati per farsi concorrenza, accettando di produrre, come veniva chiesto, molto più di quello che viene venduto. Si caricano il rischio del reso, insomma: i supermercati vogliono avere gli scaffali pieni fino a un minuto dalla chiusura. Così, ogni giorno, circa il 25 per cento del pane prodotto viene buttato. Non possiamo farci nulla. Dobbiamo ritirarlo, non ci viene pagato e dobbiamo smaltirlo. Ovvero, lo buttiamo. Perché donarlo non si può. Siamo una categoria ricattata e strozzata. Molti hanno anche paura di denunciare quanto avviene, per non perdere quel cliente grosso e approfittatore che però ti tiene in vita».
A causa della legge e della mancanza di una rete di solidarietà che sia in grado di organizzarsi e prelevare la merce prima che i supermercati chiudano, il pane non arriva gratis a chi non può permetterselo. Tanto è vero che tre mense della Caritas di Roma, lo scorso anno, sono state costrette a spendere 90 mila euro per acquistare il loro pane quotidiano. «Noi dobbiamo averne quantità certe ogni giorno» spiega Francesco Mascolo, un volontario. «Non possiamo aspettare che qualcuno ce lo doni» . E così si arriva a pagare anche cinque euro al chilo il pane di quelle stesse imprese che ne buttano a tonnellate. O che magari lo vendono in nero alle aziende agricole.
Un produttore della provincia di Roma arriva con la sua auto di grossa cilindrata e i vetri oscurati. Chiede di restare anonimo, parla di crisi, di operai da licenziare. Non ha le mani sporche di farina come Maurizio. Apre la porta di una baracca in lamiera. Controluce, il profumo del pane fresco arriva prima che si materializzi sotto gli occhi. Una montagna di pagnotte accatastate, buttate in malo modo, calpestate dagli scarponi degli operai che ne scaricano ceste su ceste. Nel corso della mattina il magazzino si riempie. Poi arriveranno gli addetti per disfarsene. In quella sola azienda sono otto quintali al giorno. «Ma c’è chi ne accumula anche venti – assicura il proprietario – in tutta Roma ogni giorno sono 200 quintali». Un operaio ci fa salire sul furgone. Davanti ai cassonetti inizia a svuotare ceste e ceste. Poi si volta: «Non è vero, non va così. Ma no che non lo buttano, davvero: lo rivendono alle aziende agricole. Noi lo diamo alle bestie, lo compro anch’io per cinque euro ogni dieci chili. A nero, ma meglio che buttarlo. E certo che questi qui lo riciclano. E certo che non lo danno ai poveri, a loro glielo vendono…».
In realtà una soluzione per evitare questo spreco colossale ci sarebbe: la “legge del buon samaritano”, che permette alle associazioni di ritirare il pane gratis, a condizione che sia preso quando è ancora dal distributore e prima che scatti l’ora in cui diventa ufficialmente un rifiuto. Per riuscirci, servirebbe una rete organizzata che però raramente esiste. Maurizio Figuccia, con la sua azienda di dimensioni mediopiccole in provincia di Pisa, il suo pane lo donerebbe. «Ma chi viene a prenderselo?», dice. «Io ho a malapena il carburante per le consegne, e per colpa della crisi in azienda da nove siamo ormai passati a tre. Sono stato costretto a lasciare a casa anche i miei figli. La burocrazia poi alimenta questo sistema. La rete per portare il pane alle mense Caritas non esiste e forse non interessa abbastanza che ci sia. Non resta che buttarlo. Ogni giorno così. Che rabbia».
Repubblica – 23 aprile 2014